[05/01/2009] Consumo

Il solito nodo politico lega ancora la riconversione ecologica dell´economia

FIRENZE. Si dice che il presidente Giorgio Napolitano sia stato favorevolmente colpito dalle intenzioni del presidente Obama di centrare l’azione di governo su redistribuzione più equa della ricchezza e su riconversione alla sostenibilità ecologica di parti rilevanti dell’apparato produttivo e dei consumi.

Affrontare insieme crisi economica e crisi ecologica è di buon senso e riporta al principio di realtà, smarrito da tempo, rispetto alla natura delle due crisi che hanno origini diverse ma sono entrambe segnate dal fallimentare rapporto tra sviluppo capitalistico e mercato, dalla crisi dell’idea stessa di progresso –lineare, infinito-.

In realtà il processo storico procede per salti, lunghi periodi di regresso, anche dal punto di vista scientifico e tecnologico. Nemmeno il capitale è in grado di sottrarsi alla casualità e al caos sistemico del processo storico. Il mercato capitalistico, pur nella profonda diversità, ha in comune con la fallita pianificazione dell’economia il fatto di non includere i costi indiretti, ambientali e della salute umana, nei costi di produzione, come, per es., quello dei cambiamenti climatici nel prezzo dei prodotti energetici.

Correggere questo errore dell’economia e della teoria economica non può avvenire per legge e in poco tempo. Richiede, per l’appunto, la riconversione del sistema economico globale e una equa distribuzione del reddito e della ricchezza, una riduzione programmata (quindi partecipata e condivisa, controllata) delle emissioni di gas serra e la introduzione di tasse sull’emissione di CO2 e delle le tasse sul reddito da lavoro, con effetti positivi sia sulla qualità della domanda in termini antirecessivi e di sostenibilità ambientale, e avviando la riconversione di un’economia insostenibile, che vive al di sopra delle risorse. Infatti riconvertire è redistribuire verso nuove attività, investimenti in conoscenza e istruzione, salari, pensioni, sicurezza sociale, vuol dire cambiare priorità del modo di vivere in una economia in equilibrio dinamico.

Esistono, inoltre, ben fondate ragioni economiche per prendere provvedimenti tempestivi che permettano di affrontare il problema dei cambiamenti climatici insieme ai costi della crisi economica e affermare una nuova concezione, democratica, del mercato e del sistema produttivo.

Infatti una ripresa della crescita economica nella attuali condizioni – ossia senza l’adozione di provvedimenti per ridurre le emissioni di almeno il 60% in poche decine di anni – provocherebbe un drastico aumento della quantità di gas a effetto serra presenti nell’atmosfera senza risolvere il problema del lavoro. Esistono, infine, fondate ragioni per ritenere che l’azione combinata di riconversione e redistribuzione costi molto meno dell’inazione o della ripresa tout court dell’economia attuale.

Infatti in rapporto al Pil globale, le stime valutano una spesa modesta. Secondo i calcoli di Stern, una riduzione di emissioni globali del 25% rispetto ai livelli attuali (circa il 60% in meno rispetto al livello futuro senza correzioni), da effettuarsi entro il 2050, avrebbe un costo di circa il 2% del Pil globale, stima che lo stesso Stern ha dovuto aggiornare, raddoppiandola rispetto a un paio d´anni fa.
Ma, come si diceva una volta, “il nodo è politico”.

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