[09/01/2009] Comunicati

Il quarto rapporto Ipcc, questo sconosciuto (16)

FIRENZE. Per comprendere quali possano essere gli effetti più significativi del surriscaldamento globale, è necessario focalizzarsi sulle conseguenze che esso può avere a livello locale e regionale, ben più eloquenti rispetto ad analisi di prospettiva globale (es. le stime sull’aumento delle temperature medie planetarie).

Come detto nella scorsa parte della nostra rassegna, è comunque proprio nella globalità delle valutazioni che si basa l’attendibilità di previsioni climatiche che investono range pluridecennali, come quelle contenute nel quarto rapporto Ipcc. Ciò significa in parole povere, che se ha un senso proiettare l’aumento dell’energia interna del sistema terra-acqua-atmosfera (causata dal mutamento dell’equilibrio dei gas serra) in scenari globali di temperatura futura, ben più arduo cimento è l’ipotizzare le effettive variazioni che a livello locale, potranno essere causate da questo aumento di energia.

Non è quindi un caso che – come già ripetuto più volte – il quarto rapporto abbia lasciato uno spazio esiguo ad analisi di prospettiva locale: l’obiettivo è infatti la massima attendibilità scientifica delle valutazioni presentate, fine che sarebbe stato probabilmente inconciliabile con un focus sugli aspetti locali maggiore di quello presente nel rapporto. Ciò non toglie che – come anche affermato in passato da James Hansen, direttore del centro Goddard della Nasa – i rapporti che l’Ipcc produrrà negli anni a venire dovranno necessariamente contenere, oltre ad una migliore quantificazione dell’effettivo ruolo antropico nel surriscaldamento, anche analisi di maggiore impronta regionale e locale.

Vediamo comunque, in breve e cercando di evitare ripetizioni, ciò che è previsto avvenire in futuro nelle singole regioni geografiche. Se non diversamente citato, tutte le ipotesi presentate godono di un range di affidabilità superiore all’80% (high confidence). Cominciamo quindi con l’Africa: entro il 2020 il quarto rapporto ipotizza, per alcuni paesi del continente nero, una riduzione dei raccolti del 50%, fattore che «potrebbe ulteriormente peggiorare la sicurezza alimentare ed esacerbare la malnutrizione».

A questo si aggiungerebbe un «aumentato stress idrico per un numero di persone da 75 a 250 milioni», sempre entro il 2020. Entro fine secolo, invece, la crescita del livello marino potrebbe causare danni in varie zone costiere densamente abitate, con costi di adattamento che il quarto rapporto quantifica in una cifra tra il 5 e il 10% del Pil. E va aggiunto l’ipotizzato aumento del 5-8% delle aree aride e semi-aride, ipotizzato da molti modelli.

In Asia, la disponibilità di acqua dolce è prevista in diminuizione in molte zone, in particolare nei grandi bacini idrici, entro il 2050. Crescerà il rischio di inondazioni marine nelle aree costiere, specialmente nei «mega-delta densamente popolati nel sud, est e sud-est del continente». In alcuni casi al rischio di inondazioni si sommerà quello delle alluvioni da parte dei corsi d’acqua. Conseguentemente, è atteso nelle stesse zone un aggravamento dell’incidenza delle patologie diarroiche, e della associata mortalità, e un generale aumento della «pressione esercitata sulle risorse naturali e sull’ambiente associata con la rapidità dell’urbanizzazione, dell’industrializzazione e lo sviluppo economico».

Per l’Oceania è prospettata in primo luogo una «significativa riduzione della biodiversità» entro il 2020 in alcuni siti particolarmente ricchi, come la grande barriera corallina e le zone umide tropicali del Queensland. Al 2030, la sicurezza idrica è destinata a peggiorare nel sud e nell’est dell’Australia, e nel nord della Nuova Zelanda: nelle stesse zone si ipotizza una riduzione della produzione agro-forestale. Solo in alcune zone della Nuova Zelanda sono previsti, inizialmente, alcuni benefici derivanti dal surriscaldamento. Riguardo alle zone costiere, è attesa al 2050 una «esacerbazione dei rischi da crescita dei mari» causata dall’aumento dell’urbanizzazione costiera in alcune zone, e «aumenti nella frequenza e nell’intensità delle tempeste e delle inondazioni marine».

In America latina, entro metà secolo, potremmo assistere ad un evento che sarebbe contemporaneamente effetto del Gw, e anche fattore di suo ulteriore aggravamento: e cioè l’attivazione di un processo di «sostituzione della foresta tropicale in una savana nella parte orientale dell’Amazzonia», a causa della crescita delle temperature con associata riduzione della disponibilità idrica nel suolo. Paritariamente, le zone semi-aride si involverebbero in terre aride. Ciò avrebbe naturalmente effetti significativi in direzione di una «significativa perdita di biodiversità» in molte zone del continente. La produttività di alcuni raccolti e le rese degli allevamenti sono genericamente prospettati in diminuizione, mentre dovrebbe aumentare la produzione di olio di semi di soia. Esistono invece dubbi sull’eventuale aumento delle persone a rischio di fame, nel continente. Infine, «cambiamenti negli apporti precipitativi e la scomparsa dei ghiacciai sono previsti influire significativamente sulla disponibilità idrica per l’alimentazione, per l’agricoltura e per la generazione di energia».

E chiudiamo, per oggi, con la “zona omogenea” rappresentata dal complesso delle isole di piccole dimensioni (con particolare riferimento naturalmente a quelle coralline o comunque caratterizzate da una limitata altezza sul livello marino), dove «la crescita del mare è attesa esacerbare le inondazioni, la forza delle tempeste, l’erosione e altri pericoli relativi alle zone costiere, mettendo così in pericolo le infrastrutture vitali, gli insediamenti e le attrezzature che supportano il sostentamento stesso delle comunità isolane». Anche i flussi turistici potrebbero subire sostanziali modifiche, a causa dell’erosione delle spiagge e dello sbiancamento dei coralli. Entro metà secolo, il cambio climatico potrebbe inoltre «ridurre le risorse idriche in molte piccole isole (es. nei Caraibi e nel Pacifico), al punto che esse potrebbero diventare insufficienti per soddisfare la domanda durante i periodi di ridotte precipitazioni». Ed è atteso, in chiusura, un incremento delle invasioni di specie alloctone, «in particolare sulle isole situate alle medie e alte latitudini».

Resta quindi da vedere cosa potrebbe accadere con maggiore probabilità in tre regioni del globo: la vecchia Europa, il Nordamerica e le regioni polari. A causa dell’importanza della valutazione dell’impatto del Gw in queste zone, e della loro peculiarità rispetto alle regioni di cui abbiamo discusso oggi, affronteremo la questione con specifico dettaglio nella prossima parte della rassegna.

(16 – continua)

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