[21/01/2009] Rifiuti

Messner ha ragione: perché cavare materiale vergine se si possono usare rifiuti inerti?

LIVORNO. Reinhold Messner torna ad occuparsi in prima persona di ambiente annunciando che sabato sarà in prima fila al corteo contro un progetto che prevede di utilizzare due colline trentine (Pillhof) per trasformarle in ghiaia. Un’operazione da 800mila metricubi di materiale inerte vergine (e da 18milioni di euro di ricavo) ottenuto a scapito dello sbriciolamento di un pezzo di territorio.

La questione è sempre la stessa: si scavano montagne, colline, letti dei fiumi e quasi il 60% di quanto viene estratto è poi utilizzato per trarne materiale per costruzione, senza alcuna distinzione se questo materiale servirà per l’intonaco di un interno o per essere frantumato in un sottofondo stradale o per produrre cemento. Quindi senza nessuna attenzione al fatto che il materiale ottenuto a discapito del territorio sia impiegato per usi più o meno nobili: sempre inerte è. Ma sempre inerte è anche quando il materiale proviene dal trattamento di ciò che risulta dai processi di demolizione, che secondo stime ufficiali (Irpet ex Apat) ammonta ad oltre 40 milioni di tonnellate l’anno che vanno a finire, quando va bene in discarica, ma spesso ai margini delle strade, nei cassonetti, nelle piazzole e ovunque si possa facilmente depositare senza dare troppo nell’occhio.

A poco è infatti valso lo sforzo di fare in modo che questo materiale, una volta trattato, venisse di nuovo impiegato per la gran parte degli interventi in cui non è assolutamente necessario l’impiego di materiale vergine; fermo restando il fatto che a seconda del tipo di trattamento cui viene sottoposto il rifiuto inerte, è nelle caratteristiche prestazionali, assolutamente paragonabile a quello ottenuto da cava e, quindi, al pari di esso utilizzabile. Certificazioni, prove strutturali, capitolati tecnici, regolamenti che ne obbligano (obbligherebbero) l’uso in percentuali certe negli appalti pubblici: i risultati ottenuti sono evidentemente sproporzionati rispetto al lavoro svolto per incrementare l’uso di materiale inerte riciclato rispetto a quello vergine, per non dire inesistenti. In molti Paesi europei il riciclo di inerti ha già superato il 90% mentre l’Italia è riuscita ad arrivare solo al 10%.

E intanto si continuano a rilasciare permessi per cavare, nonostante non esistano piani cava in ben 10 regioni, con la conseguenza di dare pieno potere discrezionale a chi rilascia le autorizzazioni (e di renderlo vulnerabile nei confronti delle ecomafie del cemento). La gestione del settore è ancora affidata ad un regio decreto del 1927 e, analogamente al quadro normativo, anche le tariffe di concessione sono rimaste ferme nel tempo, tanto che valgono in media pochi centesimi di euro a fronte del mercato che alimentano che invece, solo per gli inerti, vale almeno 5 miliardi l’anno.

La prospettiva dovrebbe essere quella di una filiera dove, anziché il conferimento in discarica dei materiali provenienti dalle demolizioni, siano le stesse imprese a gestire un processo di demolizione selettiva e di successivo riciclo dei materiali, che correttamente lavorati possono diventare una eccellente alternativa agli inerti e agli aggregati per il cemento. E’questa la strada intrapresa nei principali Paesi europei ed è questa la strada che dovrebbe intraprendere anche il nostro paese.

Torna all'archivio