[03/02/2009] Comunicati

Google ocean, il ´rapporto con la natura´ e la sostenibilità

FIRENZE. Come riportato da molti media, ieri Google ha rilasciato l’applicazione «Ocean» del noto programma Google earth. Grazie ad esso sarà possibile viaggiare virtualmente al di sotto del livello marino, mentre finora le possibilità di esplorazione si fermavano in prossimità delle rive dei continenti.

Come già avviene per il programma-madre, la ricognizione non sarà solo passiva, ma saranno a disposizione dei navigatori numerosi strumenti per ampliare le possibilità di esplorazione e – soprattutto - di approfondimento: sono disponibili infatti contributi (sia di valore scientifico – Noaa, National geographic, filmati di Jacques Costeau - sia ispirati ad una filosofia «wiki») per la comprensione della biologia marina, degli aspetti geologici, turistici ecc.

Si tratta – lo ricordiamo – dell’estensione di un programma che secondo l’azienda californiana è stato scaricato in tre anni da oltre 500 milioni di singoli utenti.

Tra i commenti alla notizia che abbiamo osservato, appaiono interessanti le considerazioni che Andrew Renkin affida alle pagine di Dot earth, blog del New York Times: «la familiarità digitale con una foresta o con un barriera corallina – si chiede Revkin - potrà incoraggiare la conservazione e cambiare le priorità e le pratiche delle persone (ciò che comprano, ciò che tutelano nel loro ambiente)»?

Revkin ha avanzato la domanda ad alcuni ricercatori: secondo la psicologa ambientale Nancy Wells della Cornell university, «è scarsa la quantità di dati che esaminano l’impatto con cui i media e la tecnologia possono agire da catalizzatori per connettere le persone e la natura (..) Comunque la tecnologia dovrebbe essere considerata come un potenziale meccanismo per stimolare la curiosità e incoraggiare l’interazione con il mondo naturale, più che un avversario con cui la natura debba competere».

Analoghe considerazioni, ma nell’ambito di un’analisi più complessa, sono avanzate da Stephen Kellert, ordinario di ecologia sociale a Yale: «la mia impressione è che ci sia una correlazione stretta tra la consapevolezza ambientale, l’attivismo “ambientalista” in senso stretto e la diffusione di rappresentazioni video/televisive della natura e della conservazione». Il rovescio della medaglia è però rappresentato dal fatto che «questa esposizione virtuale ha solo una minima correlazione con una più complessa e profonda comprensione del mondo naturale e della sua protezione, o con azioni connesse alla responsabilità e lo stile di vita personali. Inoltre, gran parte di questa accresciuta consapevolezza è riferita a qualcosa di astratto e remoto (es. foreste tropicali, wildlife in paesi distanti, lo stesso cambiamento climatico) ma ad essa corrisponde una minima consapevolezza, un minimo apprezzamento, una minima azione riferita all’ambiente regionale e locale dei luoghi dove le persone vivono».

«La triste realtà - ha concluso Kellert - è che mentre è cresciuta enormemente una consapevolezza di matrice astratta (virtuale, rappresentativa) della natura e della sua conservazione, allo stesso tempo sta avvenendo un profondo declino nell’esperienza e nel contatto quotidiano con la natura» e, conseguentemente, «con una spesso più profonda e realistica comprensione di essa e con l’azione che consegue a questo coinvolgimento personale».

... Come a dire che grazie alle odierne tecnologie di massa (e alle loro applicazioni nelle scienze ambientali, analoghe al nuovo programma rilasciato da Google) saremo sempre più acculturati su quanto succede in Artico o negli abissi marini, ma avremo sempre più difficoltà a trovare invitante l’odore della terra bagnata o a camminare nel bosco vicino alla città. E questa, se prendiamo per buona la relazione causale tra “percezione attiva della bellezza e complessità della natura”, “attivazione conservazionista in difesa di essa” ed “evoluzione dei comportamenti individuali finalizzata alla riduzione della pressione sul capitale naturale”, non è una buona notizia.

Come costantemente sosteniamo su greenreport, la spontanea attivazione di più costruttivi comportamenti individuali costituisce solo uno – e nemmeno il più importante – degli ambiti di evoluzione che auspichiamo per il percorso della società e dell’economia umane verso la sostenibilità. Ma essa resta comunque di grande importanza: e riguardo a questo resta da vedere se l’effetto “educativo” reso da una maggiore consapevolezza ambientale (e quindi anche da applicazioni come Google Ocean, sia pure nell’eccesso di semplicismo della rappresentazione fornita) sarà prevalente, o se invece esso sarà sopraffatto dalla sempre maggiore virtualità del nostro approccio conoscitivo alla natura.

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