[04/02/2009] Comunicati

Primarie e democrazia partecipativa

FIRENZE. Anche se spesso è considerata un pretesto per rallentare le decisioni (nel caso peggiore) o un contenitore di buone ma vacue intenzioni politiche (nel caso migliore), la partecipazione ha una sua letteratura scientifica, una sua didattica accademica e pratica, un suo modus operandi codificato.

Per ora è soprattutto all’estero che l’allargamento della base democratica, il coinvolgimento degli stakeholders nei processi decisionali riguardanti l’assestamento territoriale, e in generale le iniziative finalizzate al perseguimento della sostenibilità sociale, passano ormai in gran parte attraverso pratiche partecipative. Nel nostro paese, come spesso avviene in molti altri ambiti culturali, scontiamo invece una condizione di arretratezza davanti a quelle iniziative che – un tempo sperimentali – sono ormai in altre realtà (citiamo ad esempio i paesi scandinavi, il Belgio, gli Stati Uniti e in modo minore anche alcune nazioni est-europee, come la Bulgaria) consueta pratica di governo del territorio.

Ma le primarie, e in questo momento vogliamo riferirci in particolare a quelle che si terranno a Firenze il 15 febbraio per la scelta del candidato sindaco del centrosinistra, vanno considerate un veicolo di sola consultazione, oppure devono essere viste come un elemento di «partecipazione»?

Per provare a dare una risposta, occorre domandarsi se nel percorso che finora ha accompagnato i fiorentini verso la consultazione di metà febbraio siano riscontrabili quegli elementi che, nel rapporto tra amministrazione e cittadinanza, si qualificano come fattori di partecipazione.

Prendiamo quindi ad esempio, i tre parametri la cui applicazione, secondo Ann Van Herzele del dipartimento di Ecologia umana dell’università di Bruxelles, costituisce sicura garanzia di una effettiva partecipazione della cittadinanza ai processi decisionali. Secondo le accreditate teorie di Van Herzele, un processo partecipativo è tale se si verificano tre condizioni, in esso: il processo deve essere caratterizzato da un’adeguata qualità, cioè condurre ad effettivi miglioramenti rispetto a quanto sarebbe avvenuto in sua assenza (1); deve instaurarsi nel corso di esso un circolo virtuoso di educazione reciproca e permanente tra decisori, tecnici e stakeholders (2); esso deve condurre all’induzione di un senso di proprietà/appartenenza («sense of ownership») della cittadinanza sull’area oggetto del percorso partecipato (3).

Proviamo allora a declinare questi parametri riguardo al caso-Firenze:

1) il percorso verso le primarie ha finora migliorato in qualità il rapporto dei fiorentini con la classe dirigente o con la generale politica di governo del territorio? Beh, no, decisamente no. Sicuramente, non nel modo in cui l’iter di avvicinamento ad esse è stato gestito, sia dalla classe dirigente locale, sia da quella nazionale. La lotta senza quartiere e la sostanziale anarchia programmatica e propagandistica che – almeno fino all’intervento di Vannino Chiti – è stata lasciata ai candidati in assenza di una vera supervisione da parte del partito, ha nauseato molti potenziali partecipanti alle primarie. Appare cioè peggiorato il rapporto tra la cittadinanza e i processi politici, e peggiorata risulta a molti anche la fiducia che i cittadini rivestono nei confronti delle consultazioni primarie stesse rispetto a quanto riscontrabile in precedenza.

Può darsi che l’affluenza sia alta, comunque. Ma anzitutto occorre vedere se sarà alta l’affluenza dei comuni cittadini, o delle «truppe cammellate» costituite dagli entourage dei vari candidati. E comunque non è la quantità dei partecipanti all’evento finale (le votazioni) a costituire indice di qualità del processo.

2) Si è attivato, nel processo di avvicinamento alle primarie, un circolo virtuoso di educazione reciproca e permanente tra popolazione, decisori politici (o candidati ad esserlo) e tecnici? Per certi versi sì, nel senso che le ormai numerose riunioni e incontri che si sono succedute hanno avuto l’effetto indubitabile di una maggiore consapevolezza «da parte dei cittadini riguardo alla città», e da parte della città (cioè dei suoi futuri amministratori) riguardo alle esigenze e le aspettative dei cittadini.

Ma anche qui, il percorso verso le primarie è stato penalizzato da una forte bellicosità tra i candidati e da una generale, spiccata assenza di senso di appartenenza ad una causa comune. Questo è dipeso sì dall’atteggiamento di alcuni tra i candidati più che da quello di altri, ma anche e soprattutto dall’insufficiente azione di governo e di indirizzo che il partito centrale e quello locale hanno esercitato. Probabilmente, da parte della dirigenza nazionale (in queste settimane in molte altre faccende affaccendata) è stato sottovalutato il potenziale impatto distruttivo che una campagna fratricida - non gestita adeguatamente - avrebbe potuto avere nel rapporto tra la cittadinanza e le pratiche di governo della città. E l’iscrizione tra i partecipanti – praticamente all’ultimo minuto – del ministro-ombra dalemiano ed ex-vicesindaco Ventura, dimostra l’approssimazione con cui è stata gestita la campagna per le primarie da parte del partito centrale. E il bailamme sollevato dal caso-Castello non sembra costituire una sufficiente attenuante.

3) In conseguenza del processo di avvicinamento alle primarie, il senso di appartenenza dei fiorentini alla loro comunità e il loro senso di proprietà nei confronti della città in cui vivono, è aumentato o diminuito? Qui la risposta è più complicata. Da una parte, come già detto, occorrerà vedere l’affluenza e cercare di capire se si tratterà di una affluenza spontanea o solo figlia di una buona capacità di irregimentazione del proprio elettorato da parte dei candidati. Dall’altra parte, andrà capito come reagiranno i fiorentini al risultato delle primarie (ad esempio quale sarà il risultato delle comunali di giugno) e come e quanto essi vorranno interagire con il nuovo sindaco e la sua giunta nell’ambito delle pratiche di governo della città.

Quindi, e senza naturalmente avere la presunzione di fornire giudizi di valore universale, dobbiamo comunque concludere che – ad ora – le primarie fiorentine potranno definirsi sicuramente una meritoria attività «di consultazione» della cittadinanza, ma permangono seri dubbi riguardo al fatto che esse possano essere inserite nel novero delle iniziative caratterizzanti una reale democrazia partecipativa.

E se consideriamo che sia l’Onu (fin dal 1992 con Agenda 21, e soprattutto dal rapporto sulla povertà del 2000 incentrato sulla «governance a livello locale») sia l’Unione europea (a partire dalle direttive 2001/42 e 2003/35), e finanche la regione Toscana (l.r. dicembre 2007 sulla partecipazione) considerano la pianificazione/progettazione/gestione partecipata degli spazi pubblici come fondamentali elementi del percorso verso la sostenibilità sociale e (se il processo è attuato nelle modalità corrette, e con particolare attenzione alle aree verdi) anche verso quella ambientale, ecco che appare decisamente auspicabile che nelle consultazioni primarie che si terranno in futuro in altre realtà nazionali siano tenuti in maggiore considerazione gli aspetti inerenti alle pratiche partecipative.

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