[06/02/2009] Aria

Meno ghiaccio, più tempeste, più navi e poche infrastrutture di soccorso

FIRENZE. Meno ghiacci, più tempeste intense, maggiore rischio di incidenti analoghi allo sversamento di idrocarburi in mare da parte della petroliera Exxon Valdez (1989). E tutto questo in una zona che è (e sarà) sempre più battuta dalle rotte commerciali, ma dove tuttora mancano in modo pressoché totale le infrastrutture per interventi di soccorso per i naviganti e di ripristino ambientale.

E’ questo il quadro che descrive la situazione in Artico nei prossimi anni, secondo un nuovo studio condotto dal Bjerknes centre for climate research, istituto di ricerca norvegese, che è stato pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Climate dynamics. La ricerca è da mettere in riferimento anche con quanto pubblicato il 29 gennaio dalla Noaa e dall’università del New Hampshire, che ammonivano i decisori politici riguardo – appunto - alla scarsità di infrastrutture per il soccorso umano e il ripristino ambientale in caso di incidenti sulle rotte di nuova apertura a causa del ritiro della banchisa.

Secondo Erik Kolstad del Bjerknes centre, coordinatore dello studio, le attività commerciali alle alte latitudini (es. pesca, navigazione, piattaforme petrolifere) diventeranno sempre più vulnerabili davanti ad una aumentata tempestosità del clima locale.

Il motivo di questa tendenza a una maggiore instabilità meteorologica sta in un concorso di vari fattori: anzitutto occorre ricordare che il clima delle regioni polari è tipicamente nuvoloso ma caratterizzato da ridotti apporti precipitativi, a causa dell’assenza di quei contrasti termici tra masse d’aria di diversa temperatura e densità che invece caratterizzano le regioni più a sud. E’ solo a latitudini minori, infatti, che avviene con frequenza quello scontro tra le masse d’aria polari e quelle di origine subtropicale che è responsabile della gran parte dei fenomeni meteorici che caratterizzano le regioni temperate.

Questa “zona di faglia” tra aria fredda e instabile e aria più calda si sta però spostando sempre più a nord, in conseguenza sia della maggiore spinta dall’equatore che riceve l’aria calda sub-tropicale, sia (ed è questa la tesi supportata dal nuovo studio) della minore potenza dei meccanismi di discesa dell’aria fredda verso sud. Così come il fenomeno opposto, essa è direttamente correlata al surriscaldamento globale e ne costituisce anche un feed-back positivo (cioè un peggioramento): con la contrazione della banchisa, la zona dove l’aria fredda polare “incontra” i moti convettivi marini (cioè l’aria più calda) si sposta sempre più verso nord.

Altro fattore che influisce è quanto già discutemmo il 9 ottobre scorso su greenreport: secondo studi condotti dal Goddard center della Nasa e dall’Arctic and antarctic research institute di San Pietroburgo, infatti, «il graduale riscaldamento delle acque ha spostato verso nord il percorso che seguono molti cicloni atlantici e pacifici», causando «un aumento di magnitudine dei venti di superficie negli ultimi 56 anni» nella zona artica e aumentando l’instabilità meteorologica locale. Evento che peraltro potrebbe anche costituire fattore frenante del Gw (cioè suo feed-back negativo) inducendo un maggiore rimescolamento delle acque e, quindi, un maggiore assorbimento di CO2.

Comunque sia, ciò che è certo è che – a meno di clamorose inversioni del trend climatico – la navigazione in artico aumenterà esponenzialmente nei prossimi anni. E al crescere del numero delle navi, e con l’aumento delle tempeste, cresce inevitabilmente anche il numero di incidenti. Ciò che non cresce è appunto il numero e la qualità delle infrastrutture di soccorso e ripristino ambientale presenti in zona.

Ricordiamo che l’incidente avvenuto in Alaska alla petroliera Exxon Valdez nel marzo 1989, considerato uno dei più gravi eventi di inquinamento ambientale di tutti i tempi, causò la fuoriuscita di circa 11 milioni di galloni di petrolio, danni a oltre 1300 km di coste, e la morte di oltre 250.000 uccelli e migliaia di mammiferi acquatici, specialmente lontre e foche (dati: Exxon Valdez oil spill trustee council). Le conseguenze dell’incidente sono ampiamente presenti ancora oggi sull’ecosistema locale. I danni economici sono stati stimati in 2,1 miliardi di dollari per la sola pulizia delle coste, ma le stime riguardo a quelli indiretti indicano costi superiori a 7 miliardi di dollari.

Torna all'archivio