[09/02/2009] Urbanistica

Crisi e sostenibilità: come si rilancia la competitività dei territori

LIVORNO. Il dibattito di qualche settimana fa, quando ancora si stavano definendo gli interventi del secondo pacchetto anticrisi varato dal governo venerdì, era tra chi sosteneva che fosse necessario aiutare la grande industria dell’auto e chi propendeva più verso il sistema della piccola e media impresa, vero motore pulsante dell’economia in salsa italiana. Almeno come viene descritto da una ricerca della Fondazione per la Sussidiarietà, in cui il tessuto delle piccole e medie imprese, sembra essere il vero protagonista del modello produttivo italiano, capace di costituire il baluardo di risposta alla crisi economica in alternativa alla grande impresa, ormai decisamente in declino.

Come spesso accade è verosimile che la risposta stia nel mezzo e che la caratterizzazione un tempo realistica di un paese diviso tra grandi aree manifatturiere e piccoli distretti, si sia sempre più diluita e sempre più si vada invece verso un tessuto economico come quello descritto da Aldo Bonomi. Che oggi, in una intervista di oggi su Affari & Finanza, lo spiega così: «un sistema economico e anche sociale basato su piattaforme territoriali produttive, logistiche, che tengono insieme piccole e medie aziende e nuove imprese leader o grandi imprese preesistenti che ne costituiscono l’ossatura». Il tema che risulta interessante in questo dibattito, almeno per un giornale come questo che spinge verso la riconversione ecologica dell’economia, è allora come e in quale direzione rilanciare la competitività dei territori e quali gli strumenti necessari a renderla attuabile.

Un dibattito che non traspare né dall’agenda politica nazionale né tanto meno da quella territoriale, dove è solito ritrovare - e in entrambi i casi - obiettivi e orizzonti che poco hanno a che fare con politiche che potrebbero invece rivelarsi utili su tutta la scala. Ne è un esempio il dibattito sulle infrastrutture e sulle opere pubbliche che punta, nonostante i ripetuti richiami anche da parte delle associazioni impegnate nel settore edile, a grandi e costosi interventi di dubbia utilità per il territorio e per il comparto economico che dovrebbero sostenere.

Il paese frana e per questo motivo si è costretti a chiudere strade e il premier impegnato nell’inaugurazione del passante di Mestre dichiara che il prossimo progetto che sarà avviato è il ponte sullo stretto di Messina. Quando il presidente di Ance, Paolo Bozzetti, continua a ribadire che servirebbe «un piano straordinario di opere piccole e medie immediatamente cantierabili» e guarda al modello spagnolo dove un simile piano è stato avviato, ripartendo le risorse ai comuni e chiedendo loro di avviare interventi sulla base dei progetti e della disponibilità economica.

Discorso direttamente legato alla mobilità. Si deve combattere sui territori con un problema annoso e quotidiano della mancanza di una mobilità alternativa, per le persone e per le merci, a quello basato sull’auto propria e sulla gomma, salvo poi trovare accordi trasversali (sia in termini geografici che politici) su opere autostradali e mai su quelle ferroviarie: l’autostrada Tirrenica ne è un esempio evidente e non è purtroppo l’unico.

Il paese frana e mette a rischio case, agricoltura e imprese produttive e non si destinano risorse alla sua manutenzione e magari si continua a pianificare in territori a rischio, salvo poi chiedere lo stato di calamità per poter ripagare i danni, saldando nuovamente l’ approccio locale a quello nazionale.
Il paese è in grave deficit sui servizi essenziali: l’acqua, la gestione dei rifiuti, il trasporto pubblico ed anche in questo caso stentano a realizzarsi gli interventi che potrebbero rivelarsi utili a fornire efficienza del servizio a fianco dell’economicità di gestione. Le norme sono in continuo divenire o non divengono affatto, i percorsi spontanei che vanno in tal senso e che nascono dal territorio spesso vengono contrastati. Le risorse economiche subiscono continui tagli e sono -semmai- indirizzate ancora una volta a mantenere monopoli e rendite di posizione più che a stimolare percorsi virtuosi di cambiamento. Con il risultato che sui territori le reti degli acquedotti spesso perdono più acqua di quanta ne distribuiscono, il ciclo dei rifiuti rimane aperto e alimenta circuiti d’illegalità e i pendolari continuano a subire i danni provocati dai disservizi. Con costi elevati per le comunità locali e danni economici per l’intero paese.

Il paese è agli ultimi posti sul terreno della formazione e della ricerca, quando nella strategia di Lisbona per la competitività questo era un argomento di punta su cui i paesi europei avrebbero dovuto guardare. Ma la ricerca continua a rimanere al palo del misero 1% del pil (rispetto all’obiettivo del 3% previsto a Lisbona) mentre si è intervenuti con tagli draconiani sulle scuole elementari, unico settore in cui si potevano registrare le poche eccellenze riconosciute al nostro paese e che rappresentano un presidio importante per la cultura e il sistema sociale dei territori, substrato essenziale per costruire un’economia impostata sulla sostenibilità che possa esprimere elementi di competitività per il futuro.

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