[13/02/2009] Energia

Effetto Obama: le multinazionali del petrolio pronte a lavorare sul global warming

LIVORNO. I petrolieri Usa avevano grandi amici e colleghi nell´amministrazione di George W. Bush, ma la vittoria di Obama, ed il suo brusco cambiamento di priorità li sta costringendo a cambiare atteggiamento. Il New York Times riferisce di una riunione a Houston, in Texas, durante la quale i dirigenti delle multinazionali petrolifere hanno espresso il desiderio di lavorare con il nuovo presidente Usa per nuove politiche ed un diverso approccio al riscaldamento globale.

Daniel Yergin, presidente della Cambridge Energy Research e organizzatore della conferenza, ha spiegato che per le grandi compagnie petrolifere sono in arrivo importanti cambiamenti politici e che per questo hanno bisogno di partecipare al dibattito: «Non si tratta più di discutere su basi filosofiche, ma di iniziative concrete. Ci stiamo muovendo in una nuova era della politica che porterà conseguenze molto importanti e di ampia portata per i mercati energetici».

Alla conferenza di Houston ha colpito il nuovo tono conciliante sulla necessità di limitare le emissioni di gas serra e combattere il cambiamento climatico, molti di coloro che fino a pochi giorni fa erano dei pasdaran del negazionismo antiambientalista si sono proposti nella nuova veste di ambientalisti in erba, spingendosi fino ad affermare che occorre puntare sull´efficienza energetica e sulla necessità di sviluppare carburanti rinnovabili.

Lo spirito di corpo (o meglio di Corporation) è però sempre presente: i petrolieri hanno confermato che gli Usa avranno comunque bisogno del petrolio ancora per molto tempo e che Obama deve convincersi per questo della necessità di nuove trivellazioni petrolifere al largo delle coste americane.

Comunque si respira aria di sconfitta politica: alcuni dirigenti delle industrie petrolifere hanno detto che, per lottare contro il riscaldamento globale (un tema tabù al tempo di Bush) sarebbe necessaria una carbon tax, mentre altri sono più favorevoli ad un sistema di negoziazione, come quello adottato dall´Unione europea (quello che il nostro governo vede come fumo negli occhi).

Comunque, i petrolieri sembrano ormai convinti che gli Stati Uniti debbano adottare una politica climatica e si dicono pronti a lavorare con la nuova amministrazione per mettere a punto una efficace strategia energetica. «Il presidente Obama arriva al governo con un forte impegno per affrontare i cambiamenti climatici - ha detto il direttore generale della BP, Tony Hayward - Improvvisamente le sfide che molti di noi hanno combattuto per lungo periodo, l´importanza della sicurezza energetica per dare sicurezza economica ed affrontare le questioni del cambiamento climatico in una maniera commercialmente percorribile, sono al centro della scena».

E´ evidente che le multinazionali petrolifere, che non hanno gradito la campagna elettorale di Obama che metteva in dubbio la necessità e la sostenibilità ambientale delle trivellazione off-shore e che chiedeva di sostituire il petrolio con energie rinnovabili, ora si trovano a fare buon viso a cattivo gioco, davanti ad una politica energetica ed ambientale che, come scrive il New York Times è diventata «una pietra angolare della sua politica di sicurezza nazionale e dei suoi sforzi economici».

Perfino la Exxon Mobil, che è stata capofila degli eco-scettici, finanziando anche generosamente ricerche, associazioni anti-ambientaliste e pubblicazioni di libri dei pochi scienziati che mettono in dubbio il riscaldamento globale, ha offerto ad Obama i propri suggerimenti. Michael J. Dolan, il vicepresidente della società, ha detto che la Exxon accetterebbe una tax on carbon, pur criticando il meccanismo "cap-and-trade" che invece il governo di Washington vede con favore perché consentirebbe di fissare un tetto alla quantità di CO2 che possono essere immesse ogni anno in atmosfera, consentendo di vendere i permessi di emissione alle imprese per soddisfare i loro limiti. Secondo Dolan «una carbon tax sarebbe più semplice e meno soggetta a manipolazioni di un sistema di scambio. Una tassa sul carbonio riduce i rischi della politica per le imprese e gli investitori in un modo che non può fare un regime di cap-and-trade. Inoltre, attraverso la riduzione di altre imposte, come le imposte sul reddito, si può ottenere una carbon tax revenue-neutral e compensare l´impatto di imposte più elevate sull´economia».

Ma le multinazionali petrolifere con base in Europa sembrano essere più favorevoli al sistema del cap-and-trade. Jeroen van der Veer, chief executive di Royal Dutch Shell, ha spiegato che la questione centrale è quella di assegnare un costo alla CO2: «Non perderò il sonno se gli Stati Uniti o di chiunque altro avrà una carbon tax. Il mondo sarà aiutato da un prezzo del biossido di carbonio, in qualunque modo lo si faccia».

Van der Veer ha sottolineato che un sistema di "cap-and-trade" ha funzionato bene negli Stati Uniti per ridurre le emissioni che causano le piogge acide, ma ha anche aggiunto che probabilmente la maggiore efficienza ed il minore consumo delle auto europee rispetto a quelle Usa si spiegano con le tasse più alte sui carburanti.

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