[19/02/2009] Rifiuti

La crisi riduce anche i rifiuti di Roma.... ma sarà vero?

LIVORNO. A Roma, si legge su Repubblica, per la crisi è diminuita la produzione dei rifiuti del 5%. Poi si spiega che il decremento si rileva nell’ultimo anno e mezzo, quindi un lasso di tempo più ampio dei mesi in cui la recessione si è palesata e che quindi forse è da ricercarsi in altre ragioni. Il 5% di rifiuti in meno significa per Roma, che ne produce 4500 tonnellate al giorno, una quantità pari a 225 tonnellate che il giornalista indica come una «boccata di ossigeno alla città assediata dai rifiuti» e che seguirebbe (per la maggior parte) la via della discarica. Quindi in pratica la quantità di rifiuti in calo corrisponde ad una quantità in meno che va ad occupare Malagrotta.

Un dato che può essere considerato positivo dal lato della problematica rifiuti ma che offre però l’altra medaglia negativa se visto dal lato sociale, perché non è certo da annoverare tra le buone notizie il fatto che il motivo del calo dei rifiuti sia dovuto alla recessione economica. Sempre che sia da considerarsi davvero attendibile la motivazione del calo registrato.

Non altrettanto infatti risulterebbe dall’inchiesta realizzata da Nuovo Consumo, il mensile dedicato ai soci di Unicoop Tirreno (cui fanno capo i punti di vendita Coop sparsi lungo la costa dalla Toscana fino alla Campania) che rivela che nonostante in molti facciano fatica ad arrivare alla fine del mese, gran parte dei prodotti alimentari acquistati diventano - senza neanche passare dalla tavola - scarti.

La Coop a sua volta si avvale di una ricerca della Cia, la Confederazione italiana degli agricoltori, secondo la quale nei rifiuti finirebbe addirittura un terzo di tutto il cibo prodotto dal nostro paese e cioè 25 milioni di tonnellate di alimenti ogni anno, per un valore complessivo di almeno 30 miliardi di euro.

«Si parla del 2 per cento del Pil - sottolineano alla Coop - mentre nei singoli bilanci di ogni casa l’incidenza è addirittura di 585 euro. Cosa curiosa in una situazione in cui il 35 per cento delle famiglie non riesce ad arrivare appunto alla fine del mese, con 23 milioni di nuclei familiari che vedono il proprio limite fissato addirittura alla seconda settimana».

Attraverso l’Aduc, l’Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori, sappiamo poi anche nel dettaglio che cosa viene maggiormente scartato: si tratta principalmente di prodotti deperibili (Al primo posto con il 39% sul totale) e a seguire pane (19%) frutta e verdura (17%) affettati (10%). Poi grazie a Coldiretti sappiamo che nell’ultimo anno le vendite dirette in azienda sono cresciute dell’8%, perché si ricerca «maggiore genuinità del prodotto e sapori più veraci e infine anche il risparmio».

Quindi mettendo insieme tutti questi dati, che cosa se ne può dedurre? Che è tanta la confusione tra riduzione dei consumi, riduzione della produzione di rifiuti, riduzione dello smaltimento in discarica e che volendo tenere assieme capra e cavoli, il risultato è la confusione che aumenta e i rifiuti, come si sa, non diminuiscono per questa strada!

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