[02/03/2009] Consumo

Un oceano di predatori sempre più affamati (e rari)

LIVORNO. Il nuovo rapporto di Oceana ‘Hungry Oceans’ (Oceani Affamati) lancia l’allarme sullo stato degli stock dei piccoli pesci pelagici, sovrasfruttati in tutto il mondo, che minaccia l’intero ecosistema marino e soprattutto i grandi pesci ed i mammiferi marini predatori la cui alimentazione dipende da specie come alici, sardine o sgombri.

Una cosa più che preoccupante, visto che secondo Oceana «gran parte delle catture di specie ittiche come le sardine e le acciughe viene destinata alla produzione di mangimi utilizzati nell’ acquacoltura, e per animali di allevamento e da compagnia».

Anche Oceana rende spunto dal rapporto Sofia presentato oggi a Roma dalla Fao e che rivela che l´ 80% delle risorse ittiche del mondo sono sovra sfruttate, a rischio di estinzione o comunque senza prospettive di crescita nel futuro. Oceana incrocia i propri dati con il precedente "The State of World Fisheries and Aquaculture" della Fao che nel 2006 individuava nella “anchoveta” peruviana (acciuga) il pesce più catturato del mondo con 10,7 milioni di tonnellate, un prelievo che ha portato uno dei sui principali stock al livello di massimo sfruttamento e un altro al sovra sfruttamento, con gravissime ripercussioni sui pesci e mammiferi marini che se ne cibano.

Lo stesso vale in Europa per l’acciuga della Cantabria, il cui stock è collassato per sovrapesca già quattro anni fa.

Il rapporto Oceani affamati si occupa in particolare di quello che accade nella catena alimentare marina con la scomparsa delle prede: «la pesca mirata alla cattura di queste specie animali è cresciuta drasticamente nell’ultimo secolo arrivando ad uno sovrasfruttamento che lascia senza nutrizione i grandi predatori. Di fatto, il 90% dei grandi predatori marini è scomparso a causa dello sfruttamento eccessivo della pesca di queste specie e anche delle loro prede. Tra queste troviamo il tonno rosso, il pescespada o altre specie minacciate come i cetacei».

Per Ricardo Aguilar, direttore ricerca e progetti di Oceana per l’Europa, «Quando si gestisce un’attività di pesca o si parla di sovrasfruttamento ci si dimentica che la scomparsa di una specie ha un grave impatto sulla sussistenza di altre specie. Un esempio estremamente chiaro è quello del tonno rosso che scomparve dalle coste della Norvegia per il collasso delle popolazioni di aringa. Oggigiorno l’assurdo arriva fino al punto che si sovrasfrutta il tonno e le sue prede allo scopo di alimentare gli stessi tonni tenuti in gabbie da ingrasso. Concludendo: l’impatto dell’essere umano sugli oceani non può essere considerato in modo isolato; è assurdo sovrasfruttare in modo irrazionale queste specie per alimentare l’industria dell’acquacoltura senza considerare le conseguenze che ne derivano sull’intero ecosistema».

La pesca è passata rapidamente dal soddisfacimento del bisogno primario di proteine delle comunità costiere, spesso povere, al soddisfacimento di altri bisogni. Secondo il rapporto di Oceana, un terzo del pescato «viene destinato alla produzione di olii e farine di pesce per l’acquacoltura di specie carnivore, come il salmone e il tonno rosso. Il resto viene utilizzato per alimentazione di bestiame, per la fabbricazione di prodotti farmaceutici e di mangimi per animali da compagnia». Prodotti e bisogni che sono spesso esclusivi dei Paesi sviluppati, dove il fabbisogno proteico è più che soddisfatto e ci si può dedicare a vittare il gatto di casa con le scatolette più pregiate o a dare farina di pesce alle mucche.

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