[03/03/2009] Parchi

Chi ha paura del dingo cattivo?

LIVORNO. Ecos, la rivista dell’Australian commonwealth scientific and industrial research organisation (Csiro), pubblica un interessante articolo (The dingo´s role revitalised), di Alexandra de Blas sui dingo, i cani selvatici australiani, che potrebbe essere stato scritto per i lupi italiani. Ad iniziare dalla fattoria di Dunluce, nel nord-ovest del Queensland, un allevamento 46.500 ettari dove pascolano ovini e bovini, che ha risolto il problema dell’attacco dei dingo a mandrie e greggi con l’acquisto di 24 cani pastore maremmani. Prima dell’arrivo dei cani italiani i dingo predavano fino a 10 pecore a notte, mentre ora riescono a mangiarsi 10 pecore all’anno. Comunque, il dingo in Australia continua ad avere una cattiva fama e in molti continuano a pensare che «l’unico dingo buono è un dingo morto».

Il dingo è stato a lungo l’unico mammifero non marsupiale australiano. Ha raggiunto l’Australia tra i 3.500 e 4000 anni fa attraversando il braccio di mare che la divide dal sud-est asiatico. A differenza delle razze di cane domestico il dingo partorisce solo una volta all’anno e ulula piuttosto che abbaiare, ma questo non gli impedisce di accoppiarsi con i cani inselvatichiti.

In tutti gli stati australiani i dingo vengono considerati alla stregua di cani randagi e considerati parassiti. Ma qualcosa comincia a cambiare: alla fine del 2008 il Northern Territory li ha inseriti tra le specie protette e il governo del Victoria ha annunciato che dichiarerà i dingo specie minacciata, anche se i farmers saranno ancora liberi di abbatterli se “invaderanno” le loro terre.

Ogni anno in Australia vengono spesi 6,5 milioni di dollari in campagne di avvelenamento, cattura, trappole e recinzioni per evitare i devastanti attacchi di questi canidi selvatici al bestiame. Si è calcolato che nel 2004 i dingo siano costati agli allevatori australiani 66,3 milioni di dollari. La persecuzione dei dingo e l’ibridazione con i cani inselvatichiti sta facendo diminuire la popolazione di dingo pura in gran parte dell’Australia meridionale. Il Dingo è un animale molto intelligente, come il lupo, e di solito caccia in branchi ed in modo cooperativo e sofisticato. Ma l’avvelenamento da parte degli agricoltori può distruggere la stabilità dei branchi ben strutturati gerarchicamente, creando piccoli gruppi “indisciplinati” di giovani maschi che producono molti più danni con i loro temerari attacchi al bestiame.

Ma l’esempio delle 12 mila pecore del Qeensland difese così bene da un manipolo di maremmani, dimostra che questo potrebbe essere il più efficace deterrente contro le loro scorribande nei pascoli di pecore e mucche. Questo significherebbe anche che meno dingo verrebbero sterminati e sarebbe una buona notizia per i piccoli mammiferi endemici australiani, visto che, secondo una recente ricerca, i canidi selvatici svolgono un ruolo fondamentale per la loro conservazione.

Negli ultimi 200 anni in Australia si sono estinte 18 specie di marsupiali, la metà di tutti i mammiferi estinti nel pianeta, in gran parte a causa dell’introduzione di volpi e gatti che, una volta decimati i dingo in gran parte della grande isola-continente, sono letteralmente esplosi devastando fauna ed habitat.

Uno studio del 2007 di Chris Johnson, della James Cook University, ha dimostrato che la presenza dei dingo in un’area è il più grande indicatore della possibilità di sopravvivenza per i marsupiali terricoli australiani.

La scomparsa del mala (wallaby lepre rossiccio - Lagorchestes hirsutus) dal continente australiano ne è un chiaro esempio. I mala sopravvivono ormai solo nelle isole Bernier e Dorre, ma nel 1987 esistevano ancora due popolazioni nel deserto del Tanami dove i dingo erano abbondanti. I dingo predano i mala solo occasionalmente, ma la Wildlife Commission ha pensato bene di eliminarli per dare ai wallaby lepre più possibilità di sopravvivenza senza il fastidio di questi predatori. Entro una quindicina di giorni, in una delle aree dei mala sono arrivate le volpi ed hanno spazzato via i marsupiali. Poco dopo la stessa sorte è toccata all’ultima popolazione di mala rimasta sulla terraferma australiana.

«C´è un elenco di prove a favore dei dingo – spiega Johnson su Ecos - ma è solo negli ultimi anni che i dati scientifici per poterlo dimostrare hanno iniziato ad essere raccolti».

Il dusky hopping mouse (Notomys fuscus), che sopravvive ormai con 10 mila individui confinati nelle dune di sabbia dello Strezleki desert, è una delle specie che beneficiano della presenza del dingo. In uno studio che sta per essere pubblicato dal Journal of Conservation, Mike Letnic, dell’università di Sydney, dice di aver scoperto che le minacce per questo piccolo “topo” diminuiscono se i dingo sono attivi, se sono assenti, la predazione delle volpi porta questi animaletti verso un inarrestabile declino.

Per arrivare a questi risultati Letnic ha studiato i Notomys fuscus nella Great Australian Bight a Coopers Creek, nel Queensland sud-occidentale, su entrambi i lati della immensa barriera di recinzione contro i dingo che divide in due l’Australia, ed ha trovato la prova evidente che i dingo hanno un effetto positivo sulla tutela della biodiversità.

«Quando i dingo erano attivi - spiega il ricercatore sul giornale del Csiro - ho trovato meno canguri, più erba, meno volpi e più piccoli mammiferi. Dove dingo erano assenti ho visto più canguri, meno erba, più volpi più e meno piccoli mammiferi». Ora bisogna capire come i dingo interagiscano con i vari habitat, beneficiando le specie autoctone australiane.

Il numero dei canguri, che sta diventando un problema in diverse parti dell’Australia, è ridotto dalla predazione dei dingo, ma secondo Letnic la semplice presenza dei canidi potrebbe avere un grande effetto: i canguri diventano più cauti, diminuiscono il loro accesso alle risorse naturali e la loro capacità riproduttiva. Meno pascolamento dei canguri significa più cibo e più energia per i piccoli animali. La vegetazione ha più possibilità di produrre semi, con più disponibilità alimentare per mammiferi, insetti, uccelli e rettili.

L’ Australian wildlife conservancy (Awc) si sta occupando dell’impatto dei dingo in 9 delle sue riserve e studia le interazioni tra dingo, gatti e volpi, nella più settentrionale di queste.

«Abbiamo già abbastanza risultati preliminari – spiega Sarah Legge, science manager della National Conservation - ma è improbabile che si verifichi un caso valido per tutte le aree. Penso che i dingo siano generalmente buoni per la fauna nativa e la biodiversità nelle regioni aride e semi-aride e nelle rangelands. Ma dove esistono specie invasive abbiamo potuto vedere che i dingo cambiano le loro prede con specie autoctone, con conseguenze negative. I dingo possono anche avere un minore impatto in habitat più complessi, come le alte foreste umide».

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