[04/03/2009] Comunicati

L’assalto ai negozi in Armenia e il crollo del sogno iperliberista nell’ex Urss

LIVORNO. Potrebbe essere l’ex unione sovietica il vero punto di smottamento dell’intera economia turbo-liberista? In molti cominciano a crederlo. L’ultimo cedimento si è avuto ieri in Armenia, dove la gente ha preso letteralmente d’assalto i negozi dopo che i prezzi dei generi alimentari erano saliti in un solo giorno del 20/30% in seguito al balzo in alto del dollaro rispetto alla debole moneta locale: il dramma. Temendo ulteriori rialzi di prezzi, gli armeni hanno svuotato i negozi, facendo incetta di olio di semi di girasole, burro, zucchero e farina. Naturalmente i prezzi al dettaglio sono saliti ancora. Scena da grande depressione che ricordano il 1929 Usa e l’unione Sovietica del tempo delle file per i calzini.

Il Consiglio della Banca centrale dell’Armenia ha deciso di limitare i suoi interventi sui mercati di cambio per sostenere la valuta nazionale e ritornare ad un tasso di cambio “flottante” del dram che vorrebbe stabilizzare nel 2009 tra i 360 e i 380 dram per dollaro, purtroppo per loro la moneta nazionale si è abbassata a quei livelli in un solo giorno: nelle agenzie di cambio di Erevan un dollaro, che prima dell’annuncio della Banca centrale era ceduto a 305-308, ieri era scambiato a 330 - 390 dram.

La bufera era attesa: nei giorni scorsi in Armenia diversi esponenti governativi si erano dichiarato favorevoli all’adozione del rublo come moneta comune tra diversi paesi dell’area ex sovietica. L’illusione che, dopo la cura di cavallo iperliberista seguita alla caduta del comunismo, le esauste economie dell’est Europa si riprendessero a ritmi cinesi è durata molto poco: le tigri baltiche e i leoncini ex-sovietici sono chiusi nella gabbia di una crisi devastante che ha già distrutto gran parte dei vantaggi capitalistici, colpendo duro società dove la diseguaglianza sociale ha raggiunto vertici altissimi.

Paesi che non sembrano in grado di costruire un welfare diverso da quello imposto dalle ricette iperliberiste e dove la ricetta per uscire dalla crisi sembra quella di una chiusura nazionalistica, con venature fasciste e xenofobe sempre più evidenti. Il grande fratello russo è pronto ad estendere e rafforzare la sua egemonia in quella parte dell’ex impero sovietico rimasto fuori dall’Ue, ma deve fare i conti con una crisi interna impressionante: ieri il governo Putin ha annunciato la decisione si sospendere per 4 anni l´applicazione di un articolo del Codice di bilancio che fissava all’1% il déficit del budget federale. Il ministro delle finanze Alexei Kudrin ha spiegato«Ci siamo messi d’accordo per instaurare un periodo di transizione che permetta di passare progressivamente da un deficit all’8% del Pil che abbiamo pianificato per il 2009 alla norma dell1% del Pil nel 2013». La retromarcia prodotta dalla crisi porterà (forse) al 5% del Pil nel 2010 e del 3% nel 2011.
L´Ucraina del fallimento della rivoluzione arancione filo-occidentale ha inviato una lettera di intenti al Fondo monetario internazionale(Fmi) per dichiararsi pronta a collaborare.

Il traballante presidente ucraino, Viktor Juščenko, ha firmato l’ennesima resa in cambio di un credito di stabilizzazione del Fmi da 16,43 miliardi di dollari. Dopo l’invio della prima tranche del prestito ($,5 miliardi di dollari) il Fmi aveva sospeso tutto in seguito al rifiuto dell’Ucraina di ridurre il suo deficit di bilancio, stimato al 3%. L’Europa dell’est è uno dei grandi malati del pianeta, se l’Unione europea ha rifiutato misure speciali per i suoi nuovi Paesi ex comunisti, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Berd), la Banca europea di investimenti (Bei) e la Banca mondiale, si sono impegnati a fornire fino a 24,5 miliardi di euro per tamponare una crisi che potrebbe terremotare l’Unione europea e cambiarne il volto.

La Banca mondiale spiega che «Venendo a completare le misure prese a livello nazionale in risposta alla crisi, questa iniziativa si tradurrà nella fornitura rapida di un aiuto finanziario di grande ampiezza e coordinato da queste istituzioni finanziarie internazionali per sostenere l’attività di prestito in favore dell’economia reale e, in particolare, delle piccole e medie imprese, basandosi su gruppi bancari privati. Questo appoggio finanziario prenderà la forma di finanziamenti sul patrimonio netto e sul debito, di linee di credito e di servizi assicurativi contro i rischi politici».

Thomas Mirow, presidente della Berd, spiega la sfida politica che l’occidente ha davanti per evitare il crollo di economie che fino a ieri venivano additatte come esempio della liberalizzazione spinta in mancanza di veri contrappesi sociali: «Le istituzioni si impegnano insieme a trovare delle soluzioni pratiche, razionali alla crisi che prosegue in Europa dell’est. Agiamo per il fatto che abbiamo una responsabilità particolare verso questa regione e perché questo si giustifica da un punto di vista economico. Per anni, l’integrazione crescente dell’Europa è stata una fonte di prosperità e di mutuo vantaggio, dobbiamo impedire che questo processo si inverta». Il presidente della Banca mondiale, Robert B. Zoellick, è stato se possibile ancora più chiaro: «E’ il momento per l’Europa di agire insieme per fare in modo che le conquiste di questi ultimi 20 anni non siano annientate a causa di una crisi economica che si sta rapidamente tramutando in crisi umana».

A nessuno però sembra venire in mente che il punto di ripartenza non può essere quello del ripristino di un modello di sviluppo, energivoro, consumatore di risorse, produttore di emigrazione e di abbassamento delle tutele sociali, che ha prodotto quella fiammata di crescita dei Paesi dell’est che la crisi finanziaria ha azzerato in poche settimane, riportando le tigri orientali nella gabbia della recessione.

Torna all'archivio