[05/03/2009] Comunicati

La svolta “a sinistra” della Cina in crisi che teme la rivolta sociale

LIVORNO. In Cina sono tempi duri per le voci di dissenso: il 3 marzo è iniziata la seconda sessione dell’undicesimo Comitato nazionale della Conferenza consultiva politica del popolo cinese (Ccppc) l’organo consultivo supremo del Paese, e fino al 12 marzo il regime stringerà ancora più il cappio sull’informazione.
I 2.000 delegati della Ccppc stanno passando in rassegna tutte le preoccupazioni dello sviluppo nazionale che mettono a dura prova la svolta capitalista di Deng Xiao Ping, poi diventata “crescita armoniosa, che proprio quest’anno compie 30 anni.

Il portavoce della Ccppc, Zhao Qizheng, ha detto: «Dal momento che la crisi economica continua ad estendersi, il ristabilimento dell’economia sarà in cima alle principali preoccupazioni dei delegati» che hanno presentato 265 proposte che «coprono un gran numero di temi – spiega Zhao – Ma alcuni sono oggetto di preoccupazioni maggiori: primo, come spendere il più efficacemente possibile i 4 mila miliardi di yuan del Piano di rilancio, secondo, come accrescere la capacità di acquisto per aumentare la domanda interna e , terzo, come stimolare il commercio estero. Le proposte si concentrano anche su questioni come il lavoro così come sull’equilibri dello sviluppo nelle zone rurali ed urbane».

Ma nessuno in Cina ignora che la Ccppc sia solo una cornice per il vero evento politico del regime: l’Assemblea popolare nazionale (Apn) iniziata oggi a Pechino con l’intervento del primo ministro Wen Jiabao che ha detto che «La Cina continuerà a risparmiare energia ed a ridurre le sue emissioni per lottare contro il riscaldamento climatico, secondo il rapporto di attività del governo del Paese». Wen ha presentato il rapporto che prevede un impegno del governo comunista per il risparmio energetico in tre settori chiave: industria, trasporti e costruzioni.

Gli impegni energetici-ambientali della Cina fanno parte della risposta ad una vasta crisi economico-sociale che rischia di mettere a dura prova il regime. Il premier cinese ha anche presentato un rapporto di attività del governo che sottolinea che la Cina non può indebolire i suoi sforzi riguardo alle esportazioni, anche se la diminuzione della domanda estera è considerevole e il protezionismo internazionale comincia a farsi sentire: «Adatteremo le nostre strategie ai molteplici bisogni del mercato estero, puntando sulla buona qualità dei nostri prodotti. Ci sforzeremo di creare nuovi mercati esteri mantenendo il nostro piazzamento sui mercati tradizionali di esportazione».

Il governo aumenterà i fondi per sostenere il commercio estero e vuole migliorare i servizi finanziari dedicati, estendendo la copertura assicurativa e creditizia. Secondo il rapporto «Il governo riaggiusterà anche il catalogo dei prodotti il cui commercio è controllato o proibito dallo Stato ed incoraggerà il trasferimento delle industrie di trasformazione specializzate in esportazione verso le regioni del centro e dell’ovest», con il chiaro intento di decongestionare la costa e fornire lavoro ad una manodopera ex rurale che rappresenta una vera e propria bomba innescata nel futuro della Cina. Ma la tenuta del modello turbo capitalista-comunista dipende da altro: «La Cina metterà l’accento sulla domanda interna e in particolare la domanda dei consumatori, al fine di stimolare la crescita economica - ha sottolineato Wen – Il Paese stimolerà la domanda interna aumentando le entrate dei suoi abitanti, incoraggiando l’acquisto di automobili, sfruttando il mercato rurale, stabilizzando il mercato immobiliare, fornendo alloggi appropriati alle famiglie a basso reddito ed accelerando la ricostruzione delle regioni sinistrate dal sisma del 12 maggio scorso. Il governo aumenterà la proporzione dei reddito nazionale allocata ai salari. Il governo continuerà a riaggiustare la distribuzione dei redditi e ad accrescere le sovvenzioni accordate agli agricoltori ed agli abitanti urbani con basse entrate».

Il malessere sociale sempre più evidente fa paura e il governo centrale cinese ha deciso di investire per il 2009 ben 908 miliardi di yuans (132,7 miliardi di dollari) in progetti di miglioramento della qualità della vita della popolazione «al fine di creare un ambiente favorevole al consumo» e il primo ministro sottolinea che «Dobbiamo vigilare affinché gli investimenti governativi vengano affidati a settori capaci di compensare gli effetti della crisi ed ai settori deboli dello sviluppo economico e sociale».

Quel che è certo è che nel 2008 la crescita economica della Cina ha rallentato fino a “solo” il 9% e che le esportazioni rappresentano solo lo 0,8% di questo aumento, mentre erano il 3% nel 2007 con una crescita del 13%. Nel 2009, la Cina deve assolutamente centrare un più 8% di crescita, considerata la soglia di rischio, altrimenti non sarà in grado di creare nuovi posti di lavoro e non riuscirà ad assicurare la stabilità sociale. Non potrà farlo se rimarrà l’attuale livello di corruzione che lo stesso Wen ha definito «allarmante in alcune regioni, dipartimenti e settori». Un lavoro difficile visto che solo nel 2008 4.960 funzionari cinesi sono stati sanzionati (a volte con la morte) per corruzione.

E’ questo un altro dei fattori che sta erodendo la stabilità sociale che è diventata la preoccupazione maggiore della dittatura cinese che, ha detto il premier, «Si confronta con l’anno più difficile in materia di sviluppo economico dall’inizio del XXI secolo» una preoccupazione che emerge anche nell’involuto linguaggio burocratico-comunista di Wen: «Vigileremo perché siano migliorati i sistemi di allarme relativi alla stabilità sociale, al fine di prevenire e regolare in maniera adeguata gli incidenti inopinati implicanti un gran numero di persone», un modo come un altro per parlare delle crescenti rivolte contadine e dei disoccupati che punteggiano la Cina, coperte dal silenzio del regime e soffocate spesso con la violenza, non solo in Tibet.

I dissidenti cinesi e tibetani dovrebbero essere preoccupati per questa svolta apparentemente a sinistra del regime di Pechino: la parola stabilità è scritta ben 12 volte nella versione in inglese delle 44 pagine del rapporto del governo ed in Cina stabilità vuol dire ubbidienza alle decisioni del potere, soprattutto se c’è di mezzo una crisi economica, sociale ed ambientale senza precedenti, la ricaduta di un trentennio che ha permesso di costruire un regime nominalmente comunista, e che ha conservato intatti i suoi riti staliniano-maoisti, ma che ha partecipato da protagonista alla realizzazione di quel turbocapitalismo planetario finito nel burrone della crisi finanziaria che si è scavato con le sue mani.

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