[09/03/2009] Rifiuti

Le grandi opere incombono, ma per le bonifiche non è ancora tutto perduto

LIVORNO. Nella riunione del Cipe di venerdì si è deciso di sbloccare ben 17,8 miliardi per le opere pubbliche, che verranno suddivisi in una tranche di 16,6 miliardi per le infrastrutture, 1 miliardo per l’edilizia scolastica e 200 milioni per quella carceraria; ma si è anche previsto che il resto del gruzzolo derivante da risorse inutilizzate, che ammonta a circa 9 miliardi, confluirà in un fondo sotto l’egida di Palazzo Chigi. Per accedere a questi fondi, su cui vi erano già mire da parte di diversi dicasteri, compreso quello dello Sviluppo economico che aveva già deciso come spenderli, il premier ha specificato che ci sarà un iter ben preciso: «i ministri man mano che avranno pronti i progetti d’intervento immediatamente realizzabili si rivolgeranno a Palazzo Chigi», che sentito Tremonti «porterà le decisioni al Cipe».

Una soluzione che non è andata tanto giù al ministro dello Sviluppo Claudio Scajola, che ha preferito disertare il consiglio dei ministri, previsto subito dopo la riunione del Cipe.
Al Ministero dello Sviluppo si era infatti lavorato in questi mesi per allocare risorse pari a 3 miliardi di euro, gran parte dei quali da destinare al progetto per la riqualificazione di aree industriali da condividere con il ministero dell’Ambiente, che ha però preferito sottrarne una parte (circa 1 miliardo di risorse) da spendere autonomamente.

Decisione che è costata al ministero dell’Ambiente il fatto che già nella riunione pre Cipe queste risorse venissero reincorporate nel fondo comune a disposizione di Tremonti, ma che aveva tranquillizzato il Ministero dello sviluppo che viste “passare” le sue di risorse, nella stessa riunione, pensava che al Cipe andasse tutto liscio. Così non è stato, invece, e adesso si tratta di capire quali saranno le prospettive.

Sbollita la rabbia iniziale negli ambienti del ministero la volontà è di andare avanti con i progetti per le bonifiche di quei territori che potrebbero conoscere una seconda fase di deindustrializzazione. Per queste aree, con una delibera Cipe (61/2008), era stata posta una disponibilità di oltre 3 miliardi di euro nella fase di passaggio tra il governo Prodi e l’attuale governo Berlusconi su cui non era calata la scure del Ministro dell’economia Tremonti.
Da lì era partito un programma, sfruttando l’opportunità offerta dall’articolo 252 bis, (inserito nella revisione del testo unico 152/2006) che prevede di accelerare le bonifiche laddove è già prevista una successiva fase di reindustrializzazione.

«Un programma che non modifica le competenze, che rimangono prioritarie per il ministero dell’Ambiente, e che non aggiunge competenze a quello dello Sviluppo economico» come aveva dichiarato in un convegno ad Ecomondo, Gianni Squitieri, amministratore delegato di Siap, la società di Sviluppo Italia impegnata sulle aree produttive.

Un iter che era andato avanti in questi mesi e che dopo la pubblicazione del programma straordinario nazionale per il recupero economico produttivo di siti industriali inquinati (che avrebbero potuto avvalersi di quegli stanziamenti previsti dalla delibera Cipe), aveva praticamente terminato la fase istruttoria. Una fase in cui sulla base di criteri specifici, le regioni avevano fornito la lista dei siti su cui far partire i progetti di bonifica e di deindustrializzazione, e su cui erano già state espletate le verifiche, arrivando ad individuare per ogni regione un primo ed un secondo sito da mettere nell’elenco dei prioritari. Siti per i quali era già stata avviata anche la verifica da parte degli enti locali su quali e quante potessero essere le disponibilità da parte delle aziende sia in termini di progetti che di risorse, e di cui gli stessi enti locali si sarebbero fatti garanti. Una situazione che avrebbe dovuto portare alla firma di accordi di programma specifici, cui appunto avrebbero dovuto partecipare tutti, amministrazioni statali, regionali, locali ed aziende, e su cui il ministero dello Sviluppo contava di poter mettere risorse, condividendo le procedure con il ministero Ambiente, per sbloccare una situazione matura, ma in stallo da molto tempo.

Adesso si ricomincia da capo, o forse da tre, dato il lavoro già fatto; e magari questo stop potrà essere l’occasione per rivedere i progetti in modo da individuare le priorità e le effettive volontà/capacità d’impegno da parte delle aziende interessate, così da veicolare i fondi pubblici laddove vi è maggiore certezza e garanzia di risultato. O almeno questo sarebbe il percorso auspicabile. Sempre che quei fondi stanziati per le bonifiche non vadano ad impinguare qualche altro cantiere per grandi opere inutili e dannose, come il ponte sullo stretto, tanto per fare un esempio.

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