[11/03/2009] Vivere con cura di Marinella Correggia

Un menù per i cinque sensi

RIETI. «Io invece domando, pieno di meraviglia, con quale disposizione, animo o pensiero il primo uomo abbia toccato con la bocca il sangue e sfiorato con le labbra la carne di un animale ucciso, imbandendo le tavole con cadaveri e simulacri senza vita; e abbia altresì chiamato ´cibi prelibati´ quelle membra che solo poco prima muggivano, gridavano e si muovevano e vedevano. Come poté la vista sopportare l´uccisione di esseri che venivano sgozzati, scorticati e fatti a pezzi, come l´olfatto resse il fetore? Come una tale contaminazione non ripugnò al gusto, nel contatto con le piaghe di altri esseri viventi e nel bere gli umori e il sangue di ferite letali? …».

Così nel I secolo d.C. lo scrittore filosofo di Cheronea Plutarco (v. Del mangiar carne, Adelphi) descriveva i cibi carnei come un orrore per i sensi, vista, olfatto, gusto, contatto… e quanto all’udito, aggiungeva un verso di Omero (Odissea): "Le pelli strisciavano, le carni agli spiedi muggivano cotte e crude, e c´era come un suono di vacche".

Ci sono molte ragioni etiche, sociali e ambientali dalla parte di chi non mangia prodotti della filiera zootecnica. Le riassumeremo una prossima volta. Ma qui, soffermiamoci sul livello più basic: i cinque sensi! A ben vedere, annusare, gustare, udire e toccare, forse, il non mangiar carni (e pesci) rivolgendosi agli alimenti vegetali diretti (e non passati prima nel corpo degli animali da affettare) appare una piacevole necessità e non un doveroso sacrificio eticoambientale, una piacevole necessità.

Francamente, il ritornello che ancora ci si sente rivolgere e cioè: “Non mangi la ciccia? Non sai cosa ti perdi…” fa un po’ sorridere. Pare anzi strano che qualcuno possa amare il gusto pungente-allappato-fibroso-viscidoso di carni e pesci (di fatto a molti che smettono di mangiarne, il disgusto si sviluppa spontaneamente perfino a trovare per errore un piccolo pezzo. E si capisce che il gusto della carne e del pesce è reso tollerabile solo dall’abbondanza di spezie e condimenti. Il latte e le uova invece difficilmente arrivano a ispirare disgusto palatale anche in chi se ne astiene perché fanno parte dello stesso circuito zootecnico).

Ma ammettiamo che de gustibus non est dispuntandum, tanto per rimanere sull’antico, e che a qualche palato la carne e il pesce piacciano. Rimangono gli altri quattro sensi. Che certo si ribellerebbero a questo tipo di menù se tutta la filiera produttiva, dall’animale vivo al piatto, dovesse essere autogestita dal consumatore finale. Invece c’è la delega dell’orrore a qualcun altro, i professionisti della zootecnia. In particolare i macelli, lontani dagli sguardi (e dagli altri sensi), e non cambiati moltissimo da quando Upton Sinclair in The Jungle descrisse quelli di Chicago, un inferno per gli animali ‘eseguiti’ e per i lavoratori.

Se dovessimo fare da noi… ecco qua.

Esempio 1. “Mi mangio un medaglione di pollo”.
Tatto.
Agguanta, tiragli il collo, sporcati le mani del suo sangue viscido, spiumalo, aprilo, togligli le viscere, tocca gli escrementi lì imprigionati, lava via il tutto, taglia le fibre fibrose-cadaveriche.
Vista. Guardalo dibattersi, guarda i suoi piccoli occhi che si chiudono alla fine, il sangue, le sue viscere e gli escrementi che contengono.
Udito. Ascoltalo urlare mentre si dibatte. E poi il suono gorgogliante delle viscere che estrarrai.
Odorato. Senti il cattivo odore che emana dal piumaggio e quello degli escrementi nelle viscere.

Esempio 2. “Mi mangio una bella carpa in umido” (Nda. Esiste questa ricetta?)
Tatto. Afferra il pesce venuto su dall’acqua, sventragli la bocca tirando via l’amo uncino, tieni stretto l’animale perché mentre asfissia cerca in tutti i modi di salvarsi, ne sentirai i muscoli sotto le squame viscide, non fartelo sfuggire, afferra un coltello e tagliagli la testa, forse si dibatterà ancora un po’, oppure lascialo asfissiare a lungo in un cestino. Poi, a casa dovrai toccarlo per sventralo, viscido dentro come fuori. Le squame ti voleranno qui e là. Dovrai togliere le lische.
Vista. Guardalo mentre si dibatte, gli occhi sbarrati, la bocca devastata e spalancata, poi guardalo mentre smette poco alla volta di guizzare, i polmoni bruciati dall’aria. Guarda le interiora, il pesce alla rovescia…
Udito. Eh, ti va bene. I pesci sono muti alle nostre orecchie. Altrimenti nessuno salirebbe su un peschereccio, né andrebbe in pescheria dove molte creature del mare muoiono poco a poco, urlando in silenzio.
Odorato. Ogni commento è superfluo. Basta entrare in una pescheria. Supponiamo che per eseguire le operazioni di pulizia a casa occorra una pinza per naso ancora più efficace.

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