[19/03/2009] Comunicati

Report Onu al G20: 5 settori chiave per ripresa sostenibile e Global Green New Deal

LIVORNO. Investire l’1% del Pil mondiale, ovvero circa 750 miliardi dio dollari, in cinque settori chiave potrebbe essere la svolta per il "Global Green New Deal”. Investire in cinque settori ambientali, che vanno dalle energie rinnovabili all’acqua potabile, potrebbe, insieme ad altre misure, svolgere un ruolo importante nel rilancio dell´economia globale, per aumentare l´occupazione, accelerare la lotta contro i cambiamenti climatici, il degrado ambientale e la povertà. Sono queste le raccomandazioni contenute nel rapporto “A Global Green New Deal Policy Brief” del Programma Onu per l’ambiente (Unep), e che vengono dagli economisti chiamati dall’Onu a dare indicazioni ai leader mondiali del G20 che si riuniranno a Londra all´inizio di aprile.

Il rapporto sottolinea i molteplici benefici economici, ambientali e sociali che verrebbero da un investimento significativo di 3 miliardi di dollari in “pacchetti” di incentivi per 5 aree tematiche: aumento dell’efficienza energetica degli edifici; energie rinnovabili; trasporto sostenibile; infrastrutture ecologiche planetarie; agricoltura sostenibile. L’industria edilizia a livello mondiale ha un fatturato annuo di 3 miliardi di dollari e molti posti di lavoro sono ora minacciati dalla crisi economico-finanziaria. Gli edifici sono anche responsabili per il 30/40% delle emissioni di CO2 .

Negli Usa il governo Obama pensa di destinare una buona parte dei circa 900 miliardi di dollari del programma di rilancio economico al risparmio energetico, compresa la riduzione di un quinto dei consumi negli edifici federali (9,4 miliardi). 6,2 miliardi andranno alla climatizzazione di un milione di case e nel corso di 4 anni dovrebbero essere investiti 100 miliardi di euro per migliorare l´efficienza energetica negli edifici e nelle città Usa, creando due milioni di posti di lavoro.

A livello mondiale la transizione verso edifici “verdi” potrebbe creare milioni di posti e rendere più ambientalmente sostenibili quelli dei 111 milioni di persone occupate nel settore. Una svolta che non potrà avvenire senza che politici ed amministratori decidano di puntare sulla bioedilizia, la formazione professionale, le nuove tecnologie ed i materiali innovativi. Si stima che entro il 2025 saranno necessari investimenti per 45 trilioni di dollari per far fronte all’aumento della domanda di energia, anche questa potrebbe essere l’occasione per una green energy revolution.
630 miliardi di dollari investiti in fonti rinnovabili entro il 2030 si tradurrebbero in almeno 20 milioni di nuovi posti di lavoro, di cui oltre due milioni sarebbe nell’eolico, 6,3 milioni nel solare fotovoltaico e 12 milioni nei biocarburanti. Attualmente il settore petrolio-gas occupa poco più di due milioni di persone.

In Cina le energie rinnovabili fruttano già 17 miliardi di dollari e impiegano un milione di persone.
Biocarburanti prodotti con manioca e canna da zucchero potrebbero produrre 200.000 posti di lavoro in Nigeria e la gassificazione delle biomasse entro il 2025 potrebbe dare lavoro a 900.000 indiani. In Bangladesh 20.000 persone hanno trovato lavoro dopo l’installazione di circa 200.000 sistemi solari fotovoltaici sulle case e la realizzazione di 6.000 impianti di produzione di biogas e di 2.000 cucine a risparmio energetico.

Ma la green economy rimarrà un sogno se a Copenhagen non sarà raggiunto un accordo sul post-Kyoto. «Il meccanismo di sviluppo pulito ha contribuito ad espandere la portata dei progetti di energia rinnovabile per la produzione di energia ai paesi a basso reddito, come la Repubblica democratica del Congo, Madagascar, Mauritius, Mozambico, Mali e Senegal – spiega il rapporto - Supponendo che i governi si accordino su un nuovo Protocollo sul clima nel 2009, l´Africa potrebbe avere globalmente, entro il 2012, circa 230 progetti. Questi cumulativamente potrebbe generare oltre 65 milioni di tonnellate di riduzione delle emissioni certificate, un valore vicino a un miliardo di dollari secondo un prezzo prudente dei crediti di CO2 a 15 dollari per tonnellata».

Entro il 2050 il parco auto mondiale dovrebbe triplicare, con oltre il 90% della crescita nei Paesi non Ocse. Secondo l’Ipcc senza un miglioramento dei consumi (e della qualità) del 50% questo potrebbe rivelarsi una catastrofe. Occorre investire urgentemente nell’alta efficienza di carburanti e veicoli, compresi quelli ibridi e alimentati da combustibili alternativi, il che potrebbe creare quasi quattro milioni di posti di lavoro in tutto il mondo che si aggiungerebbero ai 19 milioni che già lavorano nell’industria e nel commercio delle auto.

Applicando le tecnologie oggi disponibili, si potrebbero risparmiare 6 miliardi di barili di petrolio, o 2 gigatonnellate di emissioni di CO2 all´anno, la metà di tutte le emissioni odierne. Occorre però investire soprattutto in un trasporto pubblico più pulito ed efficiente che, grazie anche all’indotto, potrebbe moltiplicare per 4 i suoi addetti .Secondo il rapporto negli Usa, nei prossimi 10 anni, grazie agli investimenti sull’alta velocità ferroviaria si potrebbero ottenere 250.000 nuovi posti di lavoro. Nella Corea del sud con i 7 miliardi di dollari da investire nel trasporto e nelle ferrovie per i prossimi tre anni, si prevede di creare 138.000 posti di lavoro.

Le ferrovie dell’India danno già oggi lavoro a 1,4 milioni di persone e la loro recente trasformazione in una “cash-rich enterprise” ha innescato un imponente sforzo di modernizzazione. Misure che potrebbero cambiare l’atteggiamento verso il trasporto pubblico ed impedire l’espansione del modello automobilistico occidentale.

Il rapporto chiede di «Ridurre gli incentivi alla rottamazione a 300 miliardi di dollari all’anno, mentre le sovvenzioni globali ai carburanti potrebbero generare fondi di investimento per lo sviluppo sostenibile dei trasporti e delle energie pulite; Adozione di misure come la carbon tax su benzina e carburanti, come quelle introdotte in Polonia e Svezia.; Altre possibili azioni comprendono i “clean car rebates” di Giappone ed Usa, il congestion charge di Londra, il road pricing elettronico di Singapore e le tasse assicurative specifiche per le auto della Francia».

Secondo l’Unep, gli investimenti nel settore idrico possono essere proficui non solo per le persone che utilizzano l’acqua potabile, ma anche le imprese. Il mercato globale per la fornitura di acqua, servizi igienici e efficienza idrica è stimato in oltre 250 miliardi di dollari e dovrebbe crescere fino a 660 miliardi entro il 2020. Occorre investire 15 miliardi di dollari all’anno per rispettare gli obiettivi del millennio entro il 2015, cioè dimezzare il numero di persone senza un accesso sostenibile all´acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari di base, un’impresa che potrebbe generare benefici economici globali per 38 miliardi all´anno, 15 dei quali solo nell’Africa sub-sahariana.

Gli Usa devono investire 4 miliardi di dollari nella depurazione e 2 miliardi per le infrastrutture per fornire ´acqua potabile. La Corea del sud ha già previsto quasi 12 miliardi di dollari per risanare i suoi quattro principali fiumi. In Australia, lo stimulus package è stato approvato dal Parlamento solo dopo che vi è stato inserito un cospicuo investimento per il bacino fluviale Murray-Darling, che è alla base di quasi la metà della produzione agricola della nazione.

I Paesi in via di sviluppo e le organizzazioni internazionali devono sostenere investimenti in altre infrastrutture ecologiche, come il suolo, le foreste, gli oceani, le barriere coralline e delle zone umide, la cui importanza economica è grandemente sottovalutata, in particolare per quel che riguarda il sostentamento dei poveri. I servizi ecologici forniti dalle foreste in India rappresentano oltre il 7% del Pil e il 60% del Pil dei più poveri.

Investire nelle infrastrutture ecologiche è anche economicamente sensato. Secondo il rapporto «Una rete di aree marine protette a livello mondiale, che comporta la chiusura del 20% del totale delle zone di pesca, potrebbe sostenere la pesca per un valore tra gli 80 e i 100 miliardi di dollari all´anno, garantendo un futuro per 27 milioni di posti di lavoro legati alla pesca e produrre un milione di posti di lavoro in più in settori quali l’industria conserviera».

Le zone umide del mondo, che hanno subito un ampio drenaggio negli ultimi 100 anni, producono il 25% del cibo di tutto il pianeta in attività come la pesca, l´agricoltura e la caccia. Il rapporto sollecita le economie sviluppate ad investire parte dei loro pacchetti di stimolo nell’agricoltura sostenibile, sia al loro interno che nei Paesi in via di sviluppo. Occorre però accompagnare i finanziamenti con l’apertura dei mercati alla produzione sostenibile delle economie in via di sviluppo, non solo per sostenere gli sforzi di riduzione della povertà, ma anche per migliorare la sicurezza alimentare e ridurre al minimo la pressione sugli ecosistemi, compresi i suoli ed il clima.

Il rapporto cita il caso dell´agricoltura biologica «i cui quattro principi guida sono la salute, l´ecologia, l´equità e la cura» e 114 casi di conversione all´agricoltura biologica in Africa, con rendimenti aumentati di oltre il 100%. Secondo i dati sulla produzione biologica e il commercio disponibili per più di 140 paesi, negli ultimi anni le vendite di prodotti biologici sono aumentate di oltre 5 miliardi di dollari all´anno raggiungendo più di 46 miliardi nel 2007.

«L´agricoltura biologica offre un vero mercato e opportunità di riduzione della povertà per Paesi in via di sviluppo, in quanto se oltre il 97% dei ricavi sono generati in Europa e Nord America, oltre l´80% dei produttori si trovano in Africa, Asia e America Latina. I maggiori Paesi produttori sono l´Uganda, seguita da India, Etiopia e Messico. L´agricoltura sostenibile emette meno gas serra e assorbe più CO2. Secondo uno studio della Fao «le emissioni di CO2 per ettaro dei sistemi di agricoltura biologica sono dal 48 al 68% in meno rispetto ai sistemi tradizionali». Diversi studi hanno dimostrato che i campi biologici sequestrare 3 - 8 tonnellate in più di carbonio per ettaro rispetto al convenzionale. Secondo il rapporto Unep «l´agricoltura biologica utilizza anche il 30 per cento più del lavoro che l´agricoltura convenzionale. In Messico sono stati oltre 170.000 i posti di lavoro creati da agricoltura biologica, nel 2007».

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