[20/03/2009] Comunicati

Praticare la sostenibilità: l´impronta ecologica di Gianfranco Bologna

ROMA. Come ho ricordato nello scorso articolo, le Nazioni Unite hanno rilasciato lo scorso 11 marzo il nuovo “Population Prospect 2008” (si tratta del più autorevole assessment sulla nostra popolazione pubblicato a livello internazionale). Come ricordavo il rapporto ci indica che al momento abbiamo sul nostro pianeta una crescita di circa 78 milioni di abitanti l’anno e che, dagli attuali 6.8 miliardi, dovremo sorpassare i 9 miliardi nel 2050, mentre nel 2012 raggiungeremo i 7 miliardi. La popolazione aggiuntiva in questo lasso di tempo sarà concentrata (2.3 miliardi) nei paesi cosiddetti in via di sviluppo.

Vi è abbastanza concordia tra gli studiosi di demografia che, nell’arco di questo secolo, la popolazione umana tenderà a stabilizzarsi, una volta raggiunto un livello che potrebbe essere di 9-10 miliardi e poi potrebbe iniziare a decrescere. Il grande demografo Wolfgang Lutz dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) ha pubblicato, insieme ad altri illustri colleghi, analisi sulle previsioni in questo senso ed anche un bel libro pubblicato da Earthscan “The end of population growth”. Ma, allo stato attuale delle cose, la popolazione umana come possiamo constatare continuerà a crescere e, inevitabilmente, continuerà a crescere anche la nostra pressione sull’ambiente e le risorse naturali che già oggi ci vede in una situazione che agli ecologi di tutto il mondo appare di vero e proprio “deficit ecologico”.

Non a caso l’ultimo rapporto del WWF con la collaborazione del Global Footprint Network e della London Zoological Society (“Living Planet Report 2008”) sottolinea chiaramente questo aspetto utilizzando alcuni indicatori aggregati ormai divenuti ben noti anche al grande pubblico, come l’impronta ecologica.

L’impronta ecologica, che scaturisce dagli studi dell’ecologo William Rees prima e poi del suo allievo Mathis Wackernagel che oggi dirige il Global Footprint Network, fornisce dati interessanti sul nostro impatto nei confronti delle risorse naturali.

Essa misura quanto l’umanità richiede alla biosfera in termini di terra e acqua biologicamente produttive necessarie per fornire le risorse che usiamo e per assorbire i rifiuti che produciamo. Quest’area viene espressa in ettari globali, ettari cioè con una produttività biologica media globale.

L’impronta ecologica, come qualsiasi altro indicatore aggregato, possiede ovviamente pregi e difetti. Nel tradurre il nostro utilizzo di risorse biologicamente produttive delle terre agricole e pascolive, dei prodotti forestali, delle risorse ittiche, della trasformazione della terra in suolo edificato o infrastrutturato e nella cattura forestale del biossido di carbonio prodotto dalla nostra attività (che costituiscono le principali componenti del calcolo dell’impronta ecologica) si semplifica una realtà, quella del nostro impatto sui sistemi naturali, certamente molto più complessa e articolata.

Come ricorda il mio caro amico Mario Giampietro, oggi all’Università Tecnica di Barcellona, uno dei maggiori studiosi di sostenibilità a livello internazionale, utilizzando l’impronta ecologica rispetto alla biocapacità del mondo, di una nazione o di una regione, quest’ultima, paradossalmente, potrebbe crescere perché cresce la nostra abilità nel far fruttare meglio le risorse bioproduttive dei sistemi naturali, ma se lo facciamo, ad esempio, incrementando l’utilizzo di petrolio, fertilizzanti e pesticidi nel settore agricolo, certo questi input non sono sostenibili ma, intanto, la biocapacità è superiore a quella di prima e, paradossalmente, l’impronta ecologica diminuisce .

Dal 2000 il Wwf pubblica, nel suo rapporto biennale Living Planet Report, tutti i dati aggiornati sulle impronte ecologiche delle nazioni del mondo. L’ultimo Living Planet Report è stato reso noto nell’ottobre 2008 e fa riferimento all’aggiornamento dei calcoli delle impronte sui dati del 2005.

Nel 2005 l’impronta ecologica globale era di 17,5 miliardi di ettari globali o di 2,7 ettari globali pro capite. La biocapacità del pianeta, l’area produttiva totale, era di 13,6 miliardi di ettari globali o di 2,1 ettari globali pro capite. L’impronta mondiale dell’umanità ha ecceduto la capacità totale terrestre per la prima volta negli anni ‘80; questo “sorpasso” da allora è andato sempre incrementando tanto che, con i dati del 2005, la domanda era del 30% superiore all’offerta (le capacità rigenerative della bioproduttività dei sistemi naturali presi in considerazione dal calcolo dell’impronta ecologica). Nel 2005 la principale richiesta dell’umanità nei confronti della biosfera è stata la sua impronta di carbonio (che rappresenta la biocapacità necessaria ad assorbire le emissioni di biossido di carbonio derivanti dai combustibili fossili e dalla modificazione del suolo e della vegetazione) cresciuta di oltre 10 volte dal 1961.

Nel 2005 gli Stati Uniti e la Cina presentavano la maggiore impronta ecologica, usando ciascuno il 21% della biocapacità del pianeta. La Cina ha un’impronta ecologica molto più piccola a livello pro capite rispetto a quella degli Stati Uniti, ma una popolazione che è più di 4 volte superiore. L’India costituiva la seconda maggiore impronta utilizzando il 7% della biocapacità totale della Terra.

Vediamo i dati più recenti disponibili su alcune impronte ecologiche di diverse nazioni rispetto alla loro biocapacità:
• Cina, impronta ecologica ettari globali pro capite 2,1, biocapacità 0,9 (popolazione 1 miliardo 323 milioni);
• India, impronta ecologica 0,9, biocapacità 0,4 (popolazione 1 miliardo 103 milioni) ;
• Australia, impronta ecologica 7,8, biocapacità 15,4 (popolazione 20 milioni);
• Stati Uniti, impronta ecologica 9,4, biocapacità 5,0 (popolazione al 2005, 298 milioni, oggi hanno sorpassato i 300 milioni);
• Brasile, impronta ecologica 2,4, biocapacità 7,3 (popolazione 186 milioni);
• Italia, impronta ecologica 4,8, biocapacità 1,2 (popolazione 58 milioni);
• Germania, impronta ecologica 4,2, biocapacità 1,9 (popolazione quasi 83 milioni);
• Regno Unito, impronta ecologica 5,3, biocapacità 1,6 (popolazione quasi 60 milioni);
• Etiopia, impronta ecologica 1,4, biocapacità 1,0 (popolazione 77,4 milioni).

È evidente che se continuiamo imperterriti a incrementare la nostra impronta ecologica a livello mondiale, non faremo altro che aumentare il nostro debito ecologico, inficiando significativamente le nostre stesse probabilità di sopravvivenza. Se, infatti, dovesse persistere il trend che ci ha condotto a un livello di “sorpasso” rispetto alle capacità bioproduttive dei nostri sistemi naturali, paragonabile al 30% del 2005, raggiungeremo il 100% nel decennio del 2030, sempre secondo i calcoli dell’impronta ecologica.

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