[26/03/2009] Comunicati

Cambiamenti climatici e media: i più colpiti sono quelli meno informati

LIVORNO. Il dibattito sui cambiamenti climatici è sempre più presente sui media occidentali (con l’anomalia tutta “politica” e spesso sensazionalistica italiana), ma in numerosi Paesi in via di sviluppo questo tema è raramente sulle pagine dei giornali (letti quasi sempre da una limitata elite) e la popolazione rimane spesso poco o male informata dei pericoli per la salute e del degrado ambientale al quale è sottoposta.

In un recente articolo, apparso addirittura sul sito del governo Usa, Oren Murphy, direttore per il Sud-Est asiatico di Internews Network, una Ong che si occupa di informazione, dice che «Il cambiamento climatico è uno dei problemi più urgenti che i giornalisti devono coprire nel mondo in via di sviluppo ma è qualcosa che dimentichiamo per la maggior parte del tempo. Abbiamo constatato che ci sono enormi lacune a livello di informazioni per le popolazioni che, verosimilmente, saranno le più colpite dalle conseguenze del cambiamento climatico e che hanno meno accesso a questo tipo di informazione»

Murphy e molti giornalisti hanno partecipato il 4 marzo ad un incontro organizzato a Washington dal Centro di assistenza Center for International Media Assistance, una iniziativa lanciata dall’Ong National Endowment for Democracy. L’ambiente e il global warming sono vissuti nei Paesi in via di sviluppo (ma anche quelli ricchi non scherzano…) come un problema secondario, i governi pensano soprattutto a favorire una rapida crescita economica per sostenere una popolazione in rapida crescita, spesso senza guardare tanto per il sottile sia in campo ambientale che in materia di diritti umani. Ma secondo Murphy «Il cambiamento climatico e i danni che può causare all’ambiente possono disfare anni di crescita economica, comportando, tra le altre catastrofi ecologiche, un aumento del livello del mare, riducendo le risorse di acqua potabile e nocendo all’industria della pesca. E’ necessario avere dei giornalisti specializzati in ambiente per lanciare delle sfide ai governo, chiedere loro di esaminare i loro progetti di sviluppo a scopo di lucro a breve termine, per fare in modo che non finiscano per costare di più, in futuro, ad altri piani».

Dall’incontro di Washington è però emerso che i problemi ambientali ed i forti rischi del cambiamento climatico sono relativamente poco affrontati da numerosi giornalisti, anche a causa delle difficoltà di dotarsi delle necessarie conoscenze scientifiche e «della opinione, condivisa da molti, che l’ambiente no è un dossier di stampa così prestigioso come la politica o il mondo degli affari».

Murphy ha sottolineato: «Abbiamo constatato che coprire l’ambiente è ancora considerato come il settore di qualche “ecologista irriducibile” e non come il problema che avrà l’impatto maggiore su tutti i Paesi, tanto sul piano dell’economia che della politica e, in conseguenza, sullo sviluppo sociale».

Rob Taylor, direttore dell’International Center for Journalists, è intervenuto per contrastare quella che considera un’altra idea falsa e molto diffusa che afferma che lo sviluppo economico e la protezione dell’ambiente si escludono a vicenda.

«Quando discuto con dei dirigenti politici e delle personalità del mondo degli affari dell’india sull’aumento delle emissioni di CO2 in quel Paese - ha detto Taylor – ricordo sempre loro che se gli indiani si interessano poco a questo problema, dato che, per abitante, le emissioni di gas serra degli Stati Uniti superano da 20 a 25 volte quelle dell’India. Però, la crescita in India e Cina è tale che le loro sole emissioni di CO2, se la loro crescita proseguirà allo stesso ritmo, saranno sufficienti a comportare dei cambiamenti climatici molto gravi, senza che gli Stati Uniti o l’Europa c’entrino nulla».

A questo quadro “percettivo” va aggiunto che molti giornalisti e direttori dei giornali dei Paesi in via di sviluppo (e non solo) esubiscono pesanti pressioni da parte dei governi, che spesso sono regime autoritari, quando non vere e proprie dittature, perché, con la scusa della protezione dello sviluppo economico, non parlino delle attività industriali ed economiche dannose per l’ambiente.

All’incontro del Center for International Media Assistance ha partecipato anche Steve Paterno, un freelance che lavora in Sudan, uno dei posti più pericolosi al mondo per un giornalista, che ha detto che «In alcuni Paesi, la questione del riscaldamento del pianeta è legata al commercio ed alla corruzione. Non capisco come voi possiate tenere separati questi due aspetti, soprattutto in Paesi che sono molto lontani dall’essere democratici».

Tra i progetti di Internews c’è quello di stabilire dei collegamenti con dei giornalisti in Cina e nell’Asia centrale e sud-orientale per dimostrare come lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya ridurrà fortemente la portata di grandi fiumi come il Mékong, lo Yangtze e il Gange, con «conseguenze catastrofiche per tutta la regione» e Murphy sottolinea che «Solo recentemente la questione è stata affrontata in Cina. Fino ad allora su questo non c’era stata nessuna discussione, né sui media nazionali della regione né nelle zone colpite. I cinesi cominciano a constatare il costo economico reale che è derivato da un decennio di crescita nel corso del quale l’ambiente è stato ignorato e i responsabili cinesi adesso si interessano molto di più alla salvaguardia dell’ambiente all’interno di un quadro di crescita sostenibile, non vogliono pagare le conseguenze della negligenza ecologica sottoforma di spese sanitarie, inquinamento e bonifica dei siti inquinati».

Secondo Jon Sawyer, direttore del Pulitzer Center on Crisis Reporting, «Una delle sfide che devono affrontare I giornalisti che coprono I cambiamenti climatici ed alter situazioni di crisi, è quella di essere vigili per restare obiettivi sui fatti, offrendo le informazioni necessarie a coloro che vogliono prendere le iniziative per rimediare ai problemi. Sawyer ha raccomandato ai giornalisti di cercare di scrivere i loro reportage in modo da invitare il loro pubblico alla partecipazione e ad educarlo incoraggiando «le nuove possibilità di discussione e di dibattito tra tutte le persone interessate».

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