[31/03/2009] Consumo

Pesce da allevamento, conviene?

ROMA. È il settore alimentare che è cresciuto di più al mondo, negli ultimi anni. Nel 1970 rappresentava il 6% del mercato. Oggi è salito al 50%. Spesso noi, a tavola, neppure ce ne accorgiamo. Ma – tra salmoni e branzini, orate e gamberetti – oltre 50 milioni di tonnellate del pesce e degli altri animali marini (o di acqua dolce) che ogni anno vengono mangiati al mondo non vengono dalla pesca tradizionale in mare aperto o nei fiumi o nei laghi: vengono dall’allevamento, dove i pesci vengono fatti crescere in condizioni protette, con mangimi controllati e, talvolta, con l’aiuto di antibiotici.

In soli dieci anni, tra il 1997 e il 2007, la produzione di salmone (Salmo salar) in acquacoltura è cresciuta di tre volte, da 0,5 a 1,5 milioni di tonnellate: con un fatturato passato da 2 a 8 miliardi di dollari. Negli stessi anni la produzione da allevamento dei gamberetti bianchi del Pacifico (Litopenaeus vannamei) è passata da 0,3 a 2,3 milioni di tonnellate, con un fatturato passato da 1 a 9 miliardi di dollari. E, ancora, la produzione in acquacoltura di un pesce di acqua dolce, la tilapia del Nilo (Oreochromis niloticus), è passata negli stessi anni da 0,7 a 2,1 milioni di tonnellate, con un fatturato aumentato da 1 a 2,5 miliardi di dollari.

La Cina è, manco a dirlo, il massimo produttore mondiale di pesce da acquacoltura. I suoi allevamenti di carpe, nelle risaie, vantano una tradizione millenaria. Ma ora la produzione ha assunto un carattere industriale: il paese del Dragone produce il 67% di tutto il pesce allevato al mondo.

Nel prossimo futuro il mercato del pesce da allevamento è destinato ad aumentare. Le proiezioni demografiche dicono che entro il 2030 la popolazione mondiale potrebbe raggiungere gli 8 miliardi di persone. Se ciascuno di loro vorrà avere accesso agli stessi 17 chilogrammi di pesce che noi in media consumiamo oggi, ci sarà bisogno, secondo i calcoli che la Fao è pubblicato nel suo recente rapporto sulla situazione della pesca nel mondo, di altri 29 milioni di tonnellate di pescato.

Tutto questo pesce il mare aperto non è in grado di darlo. Men che meno lo sono fiumi e laghi. E allora non ci sono alternative: occorre ricorrere al pesce da allevamento.

È un bene o è un male?
Secondo molti analisti è un bene inevitabile. È inevitabile, perché il pesce disponibile in mare aperto (ma anche nelle acque dolci) va rapidamente diminuendo. E né il mare, già ampiamente stressato, né i laghi e fiumi, che sono ancor più stressati, sono in grado di sopportare questo ulteriore aumento della domanda. È un bene, perché l’allevamento consente di ridurre drasticamente la pressione sulla biodiversità marina. E una sua ulteriore espansione potrebbe consentire addirittura un ripopolamento dei mari.

Naturalmente ci sono le controindicazioni. Che riguardano la qualità del pesce che mangiamo, l’inquinamento delle acque, il possibile squilibrio di molti ecosistemi. Conviene, forse, analizzare meglio la situazione. E che a fare un bilancio dei costi e dei benefici concorrano, con una discussione aperta e approccio interdisciplinare, economisti e demografi, medici ed ecologi.

Torna all'archivio