[02/04/2009] Comunicati

Bonn: la necessità della mitigazione per combattere il global warming

LIVORNO. Ai Climate change talks dell’Onu/Unfccc in corso a Bonn si sta discutendo di attenuazione degli impatti dei cambiamenti climatici che, insieme all’adattamento, rappresenta uno dei due approcci centrali a livello internazionale al problema della resilienza dell’uomo e delle sue attività rispetto al global warming. La base di discussione per gli oltre 2000 delegati che stanno preparando le ultime tappe della strada verso la Conferenza di Copenhagen è la scheda “The need for mitigation”, che riassume anni di ricerche e una quantità enorme di dati. Il documento afferma che « la mitigazione umana comporta interventi per ridurre le emissioni di gas serra dalle fonti o migliorare la loro rimozione dall’atmosfera con "pozzi di assorbimento". Un “sink” fa riferimento a foreste, vegetazione e suolo dove può essere riassorbita la CO2». In 200 anni i livelli di anidride carbonica in atmosfera sono aumentati di oltre il 30% e la scheda sottolinea che «Dal momento che i livelli di gas serra sono attualmente in aumento, anche ripido, che conduce al più
drammatico cambiamento nella composizione della atmosfera in almeno 650.000 anni, l´azione internazionale sulla mitigazione è urgentemente necessaria».

I 6 gas serra inclusi nel Protocollo di Kyoto e contemplati dalla United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) sono: Biossido di carbonio (CO2), prodotto dall’uso di energia fossile e dalla forestazione, che rappresenta il 76,7% del totale dei gas serra, con il 56% che proviene dall’utilizzo di combustibili fossili; Metano (CH4) proveniente dalle attività agricole, dalla produzione energetica e dai rifiuti (14% del totale); Protossido di azoto (N2O) prodotto principalmente dall’agricoltura (7,9%), Idrofluorocarburi (HFC) e perfluorocarburi (PFC) usati per sostituire le sostanze che danneggiano l’ozono (1,1%); Esafluoruro di zolfo (SF6), utilizzato nei processi industriali e nelle attrezzature elettriche.

Negli ultimi 30 anni tutte le emissioni di gas serra sono aumentate in media dell’1,6% all´anno, con le emissioni di CO2 da combustibili fossili all’1,9% all´anno. Il maggior contributo a questo aumento viene dall’approvvigionamento energetico e dai trasporti su strada. L´attuale tasso di deforestazione, in particolare quella delle foreste tropicali di Sud America, Africa e Asia, contribuisce in misura superiore al 20% ai gas serra di origine antropica.

In questo quadro l’Unfccc si è dato come obiettivo «quello di stabilizzare le concentrazioni atmosferiche di gas serra ad un livello tale da impedire pericolose interferenze con il sistema climatico». La Convenzione Onu però non quantifica il livello di stabilizzazione ed è proprio di questo che si sta discutendo a Bonn, con in mano la road map di Bali che porterà a Copenhagen.

Tutte le discussioni sulle azioni future da prendere sui cambiamenti climatici comportano due domande: quale è il livello di stabilizzazione che deve essere perseguito? Cosa costituisce un pericolo? Il livello di concentrazione di CO2 in atmosfera prima della rivoluzione industriale era di 278 ppm, nel 1990 era salita a 350 ppm, dopo è arrivata a 381 ppm.

Lo scenario dell’Ipcc più rigoroso prevede come obiettivo a lungo termine: Picco delle emissioni nei prossimi 10 - 15 anni; Entro il 2050 calo delle emissioni del 50% rispetto ai livelli del 2000; Stabilizzazione delle emissioni in atmosfera a circa 450 parti per milione di CO2 equivalente, cioè un aumento di 2 - 2,4 gradi della temperatura media terrestre. Le parti aderenti alla Unfccc hanno concordato una serie di impegni per affrontare cambiamento climatico: sviluppare e presentare periodicamente relazioni nazionali contenenti informazioni sulle emissioni di gas serra che oltre a descrivere misure e piani adottati descrivano anche le misure per il controllo delle emissioni e di adattamento agli impatti del cambiamento climatico; promuovere lo sviluppo e l´utilizzo di tecnologie rispettose del clima e della gestione sostenibile delle foreste e degli altri ecosistemi; i paesi in via di sviluppo (definiti Non-Annex I countries dall’Unfccc), non hanno attualmente impegni per ridurre o limitare le emissioni di gas serra, anche perché la Convenzione applica il principio delle “responsabilità comune ma differenziata”.

Quindi i Paesi industrializzati hanno impegni supplementari che tengono conto del loro contributo alle emissioni dalla rivoluzione industriale ad oggi: intraprendere politiche e misure che abbiamo come obiettivo specifico il ritorno entro il 2000 al livello di emissioni nel 1990; fornire o più frequenti e più dettagliati rapporti nazionali e, separatamente, relazioni annuali sulle loro emissioni di gas serra; promuovere e facilitare il trasferimento di tecnologie rispettose del clima ai Paesi in via di sviluppo ed a quelli con economie in transizione.

Con il Protocollo di Kyoto le parti hanno concordato: specifici obiettivi vincolanti di emissioni che dovranno essere conseguiti nel periodo di impegno 2008 - 2012, e che permetteranno di ridurre le loro emissioni di circa il 5% rispetto ai livelli del 1990; Gli obiettivi possono essere raggiunti internamente sia utilizzando gli international market mechanisms introdotti dal Protocollo. Essenzialmente si tratta del Clean Development Mechanism (Cdm), del finanziamento a progetti di sviluppo sostenibile non compresi nell´allegato I per ridurre le emissioni o potenziare i pozzi di assorbimento di CO2 attraverso la forestazione o il rimboschimento, della Joint Implementation (JI), cioè il finanziamento di progetti in Paesi con economie in transizione (EITs, cioè i Paesi ex comunisti europei)., dell’Emissions Trading, che consente alle parti di scambiarsi i crediti commerciali o diritti di emissione tra di loro.

Il Protocollo di Kyoto è stato sicuramente un passo avanti, ma è un primo passo modesto per una vera risposta al cambiamento climatico. Gli scienziati sottolineano che è necessario fare molto di più.
La scheda presentata a Bonn evidenzia i progressi compiuti fino ad oggi, vale a dire prima della scadenza del primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto, e i più recenti dati sulle emissioni dell’Unfccc (2006) che comprendono gli Usa e l’Australia, che all’epoca non avevano sottoscritto il protocollo di Kyoto (l’Australia lo ha fatto nel 2008).

La scheda tecnica presentata a Bonn sottolinea che «Per il gruppo di Paesi che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto, sono previste riduzioni dell’11% per il primo periodo di impegno di Kyoto, dal 2008 al 2012, a condizione che le politiche e le misure previste da tali Paesi siano messe in atto». Nel prossimo futuro si prevede invece un aumento significativo delle emissioni nei Paesi in via di sviluppo, anche se molti di loro stanno attuando azioni di mitigazione, compreso l’utilizzo di energie rinnovabili e si danno obiettivi di efficienza energetica.

Il documento traccia anche una breve sintesi di quello che dovrebbe essere il post-Kyoto dal 2012: sono necessarie forti riduzioni delle emissioni nei Paesi industrializzati che, data la loro responsabilità storica e la loro capacità economica, devono continuare a prendere iniziative per la mitigazione; Il futuro climate change regime richiederà un ulteriore impegno dei Paesi in via di sviluppo, in particolare di quelli le cui emissioni, già ora o in un prossimo futuro, contribuiscono in maniera significativa alle concentrazioni atmosferiche di CO2. Se si prendono in considerazione le proiezioni della crescita economica e della domanda di energia nei Paesi in via di sviluppo, questo sarà importantissimo.

I Paesi in via di sviluppo avranno bisogno di incentivi per limitare le loro emissioni e intanto salvaguardare la crescita economica ed eliminare la povertà. Occorre sciogliere anche il nodo della necessità di proteggere le foreste come parte degli sforzi per combattere il cambiamento climatico. La deforestazione tropicale è stata esclusa dal protocollo di Kyoto, a causa di polemiche sulla sovranità sulle risorse forestali e dell’incertezza per le implicazioni che questo avrebbe avuto per gli sforzi per ridurre le emissioni di combustibili fossili. L’Unfccc ha rilanciato il tema della riduzione delle emissioni da deforestazione nei Paesi in via di sviluppo, soprattutto su pressione di questi stessi Paesi. Secondo l’Ipcc un nuovo e più attivo ruolo dei Paesi in via di sviluppo avrebbe un significativo potenziale di mitigazione, anche attraverso un maggiore uso di tecnologie pulite e una migliore efficienza degli usi finali, in tutti i settori. I costi di mitigazione al 2030 non dovrebbero superare il 3% del Pil mondiale, ma questo potrebbe produrre benefici economici, ambientali e sociali. Il carbon market ha un grande potenzia e della per quanto riguarda il rapporto costo-efficacia di attenuazione, ma ha bisogno di politiche a lungo termine e della certezza della domanda oltre il 2012 per continuare ad essere realizzato.

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