[02/04/2009] Comunicati

Il Nordest cerca nella crisi l´opportunità per uno sviluppo sostenibile?

LIVORNO. Il Nordest cerca il riscatto. E lo fa intravedendo nella crisi attuale l’opportunità di superarla puntando sull’innovazione in rete, per cambiare traiettoria allo sviluppo.
Concetti che verranno dipanati nei dibattiti che a partire da oggi caratterizzeranno la seconda edizione del Festival delle Città Impresa, una manifestazione che intende raccontare le trasformazioni avvenute negli ultimi decenni e riflettere sui futuri sviluppi del Nordest del Paese. Il festival organizzato da Nordesteuropa.it , una testata che ha come obiettivo quello di riunire lo spirito riformatore che aleggia sui territori di questa parte geografica del paese, è promosso in collaborazione con i comuni di Rovereto, Schio, Unione Camposampierese, Montebelluna-Asolo e Maniaco, definiti «il cuore urbano e produttivo del Triveneto».

Al festival parteciperanno molti dei principali soggetti economici, istituzionali ed associativi del territorio, con l’obiettivo di dar corpo a due concetti chiave, che vengono indicati dagli organizzatori come il senso del festival: «il primo che ogni crisi racchiude in sé le premesse per il suo superamento. Il secondo che le città, e le energie imprenditoriali che sprigionano, sono il capitale essenziale e forse irripetibile del Nordest, ne simboleggiano le tenuta sotto la temperie economico-finanziaria mondiale».

Chiave di volta di questa ripresa sarà l’innovazione, che deve essere fatta in rete e attraverso la rete e che deve essere finalizzata, scrive il presidente del comitato scientifico del festival, Enzo Rullani, a «realizzare, nel volgere di qualche anno, un cambiamento di paradigma, costruendo un mondo diverso da quello che abbiamo ricevuto». L’innovazione vista quindi come un modo per affrontare oggi problemi generali, che non hanno a che fare solo con questioni individuali, o di mercato e vengono individuate almeno tre ragioni che danno all’innovazione questo significato di imperativo sociale, non solo individuale.

La prima è la necessità di «passare dall’innovazione di quantità (più volumi, maggiore produttività fisica) all’innovazione di qualità, che crea valore agendo sui significati, sulle esperienze, sulle identità e sui servizi forniti agli utilizzatori». La seconda è che «l’innovazione è chiamata a disincagliare la modernità dalle numerose cause di insostenibilità che oggi stanno bloccando al crescita nei paesi ricchi, prima di tutto, ma in prospettiva un po’ in tutto il pianeta».

Quindi l’innovazione vista come il direttore di una nuova traiettoria che sappia recuperare una sostenibilità dello sviluppo «di fronte alla scarsità del petrolio e delle altre materie prime, e alla pressione sempre maggiore che la produzione e il consumo di massa esercitano sugli ecosistemi locali e planetari». Ma le cause dell’insostenibilità non sono considerate attinenti solo agli equilibri ambientali. Si dice infatti che è necessario per imboccare questa nuova traiettoria anche «recuperare le ragioni per cui si lavora e per cui si consuma ( e questo) richiede innovazioni negli stili di vita e nei modelli di produzione che coinvolgano, ridando fiato alla passione di pensare e fare le cose che si fanno».. L’innovazione deve servire anche a mettere in atto «forme di organizzazione sociale (a rete) che consentano di condividere la conoscenza a scala sempre maggiore, senza perderne il controllo, come invece accade quando ci si affida semplicemente al mercato».

Infine l’innovazione può dare la possibilità di «utilizzare la grande energia dell’intelligenza distribuita che oggi sta emergendo grazie ad Internet e al web 2.0». Una rete che facilita «l’accesso della periferia e dei piccoli alla conoscenza che una volta era riservata al centro e alle grandi organizzazioni che lo presidiano» rendendo possibile la diffusione delle idee e della creatività diffusa, facendo circolare idee e mettere in moto filiere che proprio grazie alla rete possono contare su un effetto moltiplicatore.

Una sorta di innovazione dal basso in cui «persone, imprese, territori possono partecipare allo sviluppo di queste nuove onde di elaborazione e sperimentazione collettiva del nuovo (qualità, sostenibilità, intelligenza distribuita)». E in cui la periferia diventa epicentrica.

In questo percorso il Nordest, nato dall’intraprendenza di sistemi locali e dell’impresa diffusa, ha già fatto parte di questa strada, ma ora, si dice nella presentazione del senso di questo Festival delle città impresa, «due sono le direzioni del cambiamento verso cui guidare il processo innovativo ai vari livelli (persone, imprese, territori): le reti locali devono diventare parti di reti globali, multi localizzate, che sono per definizione più ampie e differenziate; il circuito della produzione materiale (macchine, capannone, prodotto) deve fare spazio alla produzione immateriale di significati, esperienze, identità, servizi che sono sempre più importanti nel dare valore al prodotto».

Senza dimenticare però che il criterio direttore deve essere la sostenibilità, ambientale e sociale, per non cadere ancora una volta nella trappola della crescita tout court.

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