[03/04/2009] Comunicati

Quali sono le certezze della scienza della sostenibilità di Gianfranco Bologna

ROMA. Credo valga la pena riprendere il tema sollevato nel mio articolo della scorsa settimana sottolineando lo straordinario danno esercitato dall’industria professionale del negazionismo nel promuovere l’inazione politica-economica.
L’industria professionale del negazionismo non nega soltanto il ruolo del nostro intervento nel contribuire al cambiamento climatico in atto, ma tende a negare tutte le ingenti e consolidate conoscenze scientifiche sin qui raggiunte rispetto alla capacità umana di distruggere e modificare profondamente l’evoluzione dei sistemi naturali.

La nostra capacità di comprendere come “funziona” il pianeta Terra e la nostra capacità di capire quali siano gli effetti che provochiamo su di esso, a causa della nostra continua crescita materiale e quantitativa, ha raggiunto ormai livelli sempre più perfezionati che non sono, scientificamente, oggetto di discussione.

Le straordinarie possibilità che hanno oggi le tecnologie dei satelliti da telerilevamento, l’incredibile massa di dati, assemblati in un solo secondo, dai grandi supercomputer, gli strumenti sempre più raffinati e precisi che utilizziamo per comprendere il funzionamento dell’atmosfera, dell’idrosfera, della geosfera e della biosfera ci forniscono una massa di dati incredibile.

Esistono quindi ormai di punti fermi della conoscenza scientifica che sono confermati da tutti i dati che abbiamo a disposizione e che non possono costituire oggetto di dispute ideologiche perché non sono opinioni né di destra, né di sinistra né di centro. Vediamo i principali:

1. L’impatto che la continua crescita quantitativa e qualitativa della nostra specie esercita su tutte le complesse sfere del sistema Terra è ormai chiaro a tutto il mondo scientifico e non fa che confermare quanto il periodo della scala geologica della Terra che stiamo attraversando possa essere definito Antropocene, dalla felice intuizione del premio Nobel per la chimica Paul Crutzen che ha proposto tale definizione già nel 2000 a dimostrazione del ruolo esercitato dalla nostra specie, ritenuto equivalente a quello delle grandi forze della natura che hanno, da sempre, operato sul nostro pianeta.

2. La popolazione mondiale è ora di 6,8 miliardi di abitanti (abbiamo cominciato il secolo scorso con una popolazione di 1.6 miliardi e lo abbiamo chiuso con più di 6 miliardi) e dovrebbe raggiungere i 7 miliardi nel 2012 e si prevede che sorpasserà i 9 miliardi nel 2050.
Più dei 2,3 miliardi di abitanti che si aggiungeranno in questo periodo, andranno ad ampliare la popolazione dei paesi cosiddetti in via di sviluppo che si prevede cresceranno dai 5.6 miliardi del 2009 ai 7.9 miliardi del 2050. Invece la popolazione dei paesi sviluppati si modificherà in maniera minima passando dagli 1.23 miliardi agli 1.28 miliardi e potrebbe persino declinare a 1.15 miliardi ove la migrazione netta prevista dai paesi in via di sviluppo (calcolata su una media di 2.4 milioni l’anno dal 2009 al 2050) non dovesse verificarsi. Nel 2007 la popolazione urbana ha sorpassato, per la prima volta nella nostra storia, quella rurale.
In più di mezzo secolo la popolazione mondiale urbana è infatti cresciuta passando da 732 milioni di abitanti che erano presenti nel 1950, nelle città di tutto il mondo, ai 3.15 miliardi nel 2005. Il grosso della crescita della popolazione urbana, l’88% della crescita che avrà luogo dal 2000 al 2030, avverrà nelle città dei paesi in via di sviluppo

3. Vi è un chiaro incremento della progressiva crescita della classe dei “consumatori” della popolazione mondiale. Delle varie stime sin qui fatte da 1.7 miliardi a più di 2.2 miliardi di abitanti presentano uno stile di vita definibile “consumistico” nel senso che la capacità di potere di acquisto di queste persone va ben oltre il soddisfacimento dei bisogni essenziali. Nel 2002 circa tre quarti dell’umanità, oltre 1.1 miliardi, aveva almeno un apparecchio televisivo, più di 1.1 miliardi disponeva di una linea fissa telefonica e 1.1 disponeva di linea telefonica mobile (600 milioni erano connessi ad internet).

4. Tutte le ricerche dei maggiori ecologi al mondo ci documentano come le capacità rigenerative degli ecosistemi sono messe a dura prova e tutti gli indicatori ad oggi utilizzati, ci dicono che stiamo utilizzando le risorse naturali, soprattutto quelle rinnovabili, in maniera superiore alle capacità di rigenerazione delle stesse e che le capacità assimilative dei sistemi naturali dei prodotti dei nostri metabolismi sociali (quindi “rifiuti” solidi, liquidi e gassosi) sono anch’esse in chiare condizioni di sofferenza.

5. I dati satellitari e le ricerche sull’uso del suolo ci documentano che l’intervento umano ha trasformato fisicamente almeno il 50% della superficie delle terre emerse. La mappa dell’”impronta umana” (human footprint) sul pianeta, precisa che abbiamo trasformato fisicamente le terre emerse per l’83% dell’intera loro superficie.
I maggiori ecologi marini hanno documentato che nessuna area oceanica e marina può definirsi non influenzata in qualche modo dall’intervento umano e che un’ampia frazione degli ecosistemi marini (il 41%) risulta fortemente impattata da diversi fattori antropogenici.

6. Nel 2007 l’incremento annuale di biossido di carbonio nella composizione chimica dell’atmosfera è stato di 2,2 ppm (parti per milione di volume), nel 2006 era stato di 1,8 ppm, mentre la media annuale nei precedenti 20 anni era stata di 1,5 e per il periodo 2000-2007 la media è stata sopra le 2,0 ppm. Questo incremento ha condotto la concentrazione di biossido di carbonio nell’atmosfera a 383 ppm nel 2007 (oggi ha sorpassato le 386 ppm), cioè il 37% al di sopra della concentrazione esistente all’inizio della Rivoluzione Industriale (quando nel 1750 era di 280 ppm). Gli scienziati hanno documentato che l’attuale concentrazione è la più alta degli ultimi 800.000 anni. Le emissioni di carbonio dovute all’utilizzo dei combustibili fossili sono salite dai 6,2 miliardi di tonnellate del 1990 agli 8,5 miliardi di tonnellate nel 2007. Il tasso di crescita è stato del 3,5 % l’anno nel periodo 2000-2007, un incremento di quasi quattro volte rispetto allo 0,9% annuo del periodo 1990-1999. L’attuale tasso di crescita delle emissioni per il periodo 2000-2007 eccede le più alte previsioni di crescita per il decennio 2000-2010 previsto dallo “Special report on emissions” (SRES) realizzato dall’Intergovernamental panel on climate change (IPCC).

7. L’estrazione globale di risorse dagli ecosistemi del pianeta risulta cresciuta dai 40 miliardi di tonnellate del 1980 ai 60 miliardi di tonnellate nel 2007. Rispetto al 1980 oggi si richiede globalmente il 25% in meno di risorse naturali per produrre un’unità di valore economico ma, questo guadagno in efficienza, è stato sorpassato dal fatto che dal 1980 al 2002 la crescita dell’economia globale è stata dell’82%. Si prevede che il flusso di risorse, se i livelli di consumo continueranno a crescere e se non avranno luogo interventi concreti per far declinare questo trend, raggiungerà nel 2020, 80 miliardi di tonnellate.
Questi sono solo alcuni punti fermi che ampliano quelli già trattati nel mio precedente articolo apparso su “Greenreport” di venerdì 27 marzo scorso e sui quali tutti dovrebbero essere d’accordo.

Si tratta di punti che non possono essere oggetto di negazione.

Si tratta di dati e fatti documentati che hanno condotto l’intero mondo scientifico internazionale ad essere seriamente preoccupato per il futuro delle nostre società e a chiedere un concreto mutamento di rotta nelle nostre dinamiche di sviluppo sociale ed economico.

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