[06/04/2009] Comunicati

Rendita capitale e lavoro in Toscana (2)

FIRENZE. Fino al 2001 la posizione degli occupati per professione in Toscana non era molto diversa dal decennio precedente in una sostanziale stabilità del blocco sociale di sinistra (ad es. gli operai a tempo indeterminato erano circa il 36% delle forze di lavoro). Nel 1999 gli occupati temporanei, con 75.000 unità (*), rappresentavano il 7,8% sul totale. Da allora cresce il lavoro precario che arriva nel 2006 a 135.000 unità (12,5% degli occupati). Nel 2007 i contratti a termine comunicati saranno 614.183, 630.721 nel 2008.

L’aumento anche in Toscana dei giovani precari, delle partite IVA, si aggiunge al numero alto di pmi, del lavoro in proprio (16,9% sul totale occupati in Toscana, rispetto al 15,1 della media nazionale, **) , portando una diversa distribuzione e una diversa percezione del lavoro dal blocco sociale e politico di riferimento.

E’ come se, negli ultimi 10 anni, al patto tra capitale e lavoro (tra sistema di pmi, distretti industriali e lavoratori) fondato sulla crescita economica, dell’occupazione e del lavoro stabile (ma a scapito dell’ambiente) degli anni ’70 del secolo scorso, sia subentrato un fluido sistema di scambio, tra rendita e classi medie emergenti fondato su un uso spregiudicato del territorio e del lavoro, dove la dimensione produttiva del lavoro e della conoscenza, la ricerca di nuovi equilibri ecologici e sociali sia venuta via via perdendosi.

Non solo sui mercati (compreso mdl), ma anche nella percezione del lavoro, si è rotto il legame tra produzione e occupazione, evidenziato in modo drammatico con la crisi attuale, tra produttività del lavoro e salario in una incertezza generale crescente che mette in crisi la coesione sociale pure in Toscana a vantaggio, anche politico, dei ricchi e dei rentiers (***) che possono contare su una più ampia adesione ai loro modelli di rappresentanza.

Cambia così anche nella Toscana del welfare il rapporto tra capitale e lavoro, quest’ultimo diventa politicamente marginale, contabilizzato solo come costo di produzione nei mercati delle merci e dei capitali senza confini, “scomparso” dallo stesso computo della domanda effettiva; da qui la difficoltà a sinistra a proporre il lavoro come centro di politiche sociali e industriali anche a livello locale.

Stanti i processi di disoccupazione tecnologica e la distribuzione del prodotto sociale tra paesi ricchi e poveri e tra ricchi e poveri all’interno dei singoli paesi a favore dei ricchi, è stata un boomerang sociale, anche in Toscana, la mancata ricerca di diverse modernizzazione e innovazione che non fossero il liberismo applicato al lavoro. Ora, con la crisi, rischiamo non solo un tracollo dell’occupazione, ma processi di riorganizzazione sociale e industriale contrari alla ricomposizione del lavoro (libertà, diritti, dignità), fondata sulla conoscenza, sul grande arcipelago dei lavoratori della conoscenza che, come la scienza, non sono più solo forza produttiva ma mezzo di produzione a cui sta sempre più stretta la distribuzione della ricchezza sociale con le logiche di mercato.
(2.fine)

*flashLAVORO, anno XIV n.0 marzo 2009

** Rilevazione ISTAT sulle forze di lavoro, media trimestri 2001

***I dati sulla distribuzione del reddito citati nell’articolo precedente si trovano in “L’imposta sul reddito (ire): un approccio micro-macro alla stima dell’impatto regionale e nazionale” di Renato Paniccià e Nicola Sciclone, Pavia 2005

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