[06/04/2009] Comunicati

Partecipazione come equità, partecipazione come efficienza di governo

FIRENZE. «Trovare un giusto bilanciamento tra scetticismo e fiducia nei confronti della partecipazione. Chiarire gli ambiti legislativi delle iniziative partecipate, quanto “spetta” al diritto (cioè quanto è destinato ad essere inquadrato in un sistema di norme giuridiche) e quanto invece spetta all’iniziativa sociale. Analizzare il ruolo della democrazia partecipativa come veicolo di responsabilizzazione della cittadinanza nel percorso verso la democrazia presidenziale e la sua natura populista. Estendere il dibattito pubblico partecipato a temi come la scienza e la tecnologia»: questi quattro punti costituiscono la sintesi dell’intervento con cui Umberto Allegretti (ordinario di Diritto pubblico presso l’università di Firenze) ha chiuso venerdì 3 aprile la due-giorni del convegno “La democrazia partecipativa in Italia e in Europa: esperienze e prospettive”, tenutosi a Firenze, e che dedicava particolare attenzione agli aspetti giuridici inerenti alla partecipazione e il suo inserimento in un contesto normativo.

Questo aspetto è infatti particolarmente delicato, poiché la partecipazione è tipicamente stata caratterizzata, fin dalle prime esperienze sperimentali compiute negli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso, da un approccio “dal basso”, cioè essa è sempre sorta da una spontanea attivazione di portatori di interesse non istituzionali. Il pur necessario inquadramento normativo, se da una parte sta dando un contributo all’evoluzione delle iniziative partecipate da “buona pratica” a “normale metodo di governo”, dall’altro verso rischia di svilire la partecipazione, trasformando la “progettazione partecipata” in quella che già è stata definita in passato come “partecipazione progettata”, cioè “tenuta al guinzaglio” dall’istituzione.

E questo, pur tenendo presente che la partecipazione deve essere di supporto alla decisione e non costituire un suo sterile surrogato o un suo pretestuoso rallentamento, rischia seriamente di svilire la natura stessa della democrazia partecipativa. Occorre quindi un percorso di inquadramento giuridico che tenga presente queste due esigenze contrapposte del governo del territorio, cioè quella di “prendere decisioni” e quella inerente al “decidere insieme”, senza limitarsi al mandato derivante dallo strumento della delega democratica tipico della democrazia rappresentativa.

Il tema è stato affrontato anche dall’assessore alla Partecipazione della regione Toscana, Agostino Fragai, che nel suo intervento di giovedì ha fatto riferimento alla legge approvata a fine 2007 dalla regione Toscana (prima in Italia a dotarsi di una norma organica sulla materia), sostenendo che essa «ha la sua forza nel permettere di sperimentare forme nuove di partecipazione, non alternative ma complementari, e di ricostruire così un nuovo rapporto tra cittadini e istituzioni». La legge 69/2007, che sarà sottoposta a verifica tra 3 anni (è infatti un caso peculiare di legge con una scadenza precisa, che avverrà il 31 dicembre 2012 e subirà a quel punto un processo di valutazione) sta producendo « una riflessione all´interno dei decisori politici e la messa a punto di pratiche che possono contribuire a rendere più efficace l´azione della pubblica amministrazione».

Ed è proprio la parte relativa al «rendere più efficace l’azione della P.A.» che indica la prospettiva più interessante per un maggiore radicamento della democrazia partecipativa, in Toscana e in tutta italia: la partecipazione costituisce sicuramente un fattore di equità, cioè essa ha il merito di offrire ambiti di intervento che possano dare «voce a chi non ne ha», come giustamente ha annotato Fabio Salbitano nella sua intervista a greenreport di venerdì scorso. E’ cioè tramite la partecipazione che i cittadini possono integrare con altri strumenti, oltre al voto, il loro coinvolgimento nella gestione della polis e dello Stato, e in particolare la partecipazione è veicolo di coinvolgimento di quelle categorie che meno ottengono ascolto dalla società e dalla classe politica: bambini, diversamente abili, migranti, eccetera. Essa, inoltre, è tipicamente caratterizzata da quella metodologia elastica che permette l’instaurarsi di forme più creative e dinamiche di interazione tra cittadini e decisori.

Ma il principale vantaggio della partecipazione è che essa, se ben gestita e ben strutturata all’interno di un sistema burocratico-normativo, può essere un fattore di velocizzazione della macchina amministrativa, grazie alla capacità che essa ha di contrastare l’effetto Nimby e, in generale, di fornire ambiti di confronto tra gli stakeholder e i decisori politici intercettando il dissenso “a monte”, prima che esso deflagri in iniziative di protesta. In questo senso la partecipazione non è una panacea, ma può essere comunque di grande aiuto non solo per l’equità, ma per l’efficienza stessa del processo di governo del territorio.

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