[07/04/2009] Aria

Stallo a Bonn, per gli ambientalisti i ricchi tagliano poca CO2

LIVORNO. Secondo gli ambientalisti presenti a Bonn, i Climate Change Talks dell’Unfccc hanno fatto pochi progressi su due questioni fondamentali: l’obiettivo del taglio di emissioni di gas serra da adottare da parte dei paesi ricchi; e come riuscire ad aumentare di almeno 100 miliardi di dollari all’anno gli aiuti ai Paesi poveri per potersi adattare ai cambiamenti climatici. Le due settimane del ciclo di negoziati di Bonn che si concluderanno domani non sono state particolarmente fruttuose nemmeno con la nuova disponibilità Usa a far parte attivamente della road map di Bali verso Copenhagen. Di tutto se ne ridiscuterà a giugno nella successiva sessione dei Climate Talk. Probabilmente non basteranno le tappe già fissate e i delegati dei 175 Paesi del mondo dovranno aggiungere altri appuntamenti intermedi al già frenetico calendario di negoziati che dovranno portare alla decisiva Conferenza mondiale Onu sul clima di Copenhagen a dicembre, per cercare di adottare quel nuovo accordo internazionale sui cambiamenti climatici che sostituirà il Protocollo di Kyoto.

I Paesi in via di sviluppo pretendono che le nazioni industriali riducano entro il 2020 le loro emissioni di CO2 e di altri gas serra di almeno il 40% rispetto al 1990. Alcuni Paesi in via di sviluppo hanno detto che nemmeno questa riduzione (il doppio di quella prevista dall’Ue) eviterebbe gli effetti dei disastrosi cambiamenti meteorologici che già interessano l´agricoltura e l´approvvigionamento idrico. Antonio Hill, a Bonn per conto di Oxfam International, pensa che sarebbe necessario almeno un 45%.

Si tratta comunque di un sostanziale aumento della percentuale di gas serra da tagliare rispetto all’accordo informale sui tassi di CO2 raggiunto nei precedenti round di trattative (25 – 40% per i Paesi ricchi). Il problema è anche che i Paesi industrializzati nei loro programmi nazionali cercano tutti di mantenersi sulla percentuali di riduzione dei gas serra più basse.

Hill ha detto che un gruppo di oltre 130 Paesi in via di sviluppo, capeggiato dalla Cina, «convergono sull’estremità superiore degli obiettivi», il 40%, una riduzione che anche per le associazioni ambientaliste è equa e possibile. Per Greenpeace gli impegni dei Paesi industrializzati non sono credibili: fino ad ora pensano di tagliare il 14% delle emissioni di gas serra e la maggior parte ne taglierà in realtà forse meno del 4% entro il 2020.

«Tale cifra non è sufficiente, secondo quanto dice la scienza, per rallentare la corsa verso il cambiamento climatico – dice Kaisa Kosonen di Greenpeace- Questa settimana il crollo di un ponte di collegamento fra il ghiaccio Wilkins Ice Shelf e l´Antartide è stato estremamente preoccupante, avverte che il clima sta cambiando più velocemente di quanto previsto dagli scienziati delle Nazioni Unite pochi anni fa. Noi non possiamo cambiare la scienza. Dobbiamo cambiare la politica».

Comunque per Hill una novità c’è e si chiama Barack Obama, che ha annullato la politica di Bush e i delegati Usa a Bonn si sono per la prima volta impegnati davvero: «I Paesi in via di sviluppo dicono che per la prima volta gli Stati Uniti li ascoltano». Ma i delegati dei Paesi poveri hanno anche avvertito di non aver aperto ad Obama un conto di fiducia illimitata: «l´aria fresca può diventare stantia abbastanza presto». Il Worldwide Fund for Nature spiega che «Entro il 2020 ci sarà bisogno di circa 145 miliardi di dollari all’anno per i Paesi in via di sviluppo: 100 miliardi di dollari per aiutarli a costruire le difese e ad organizzare le loro economie contro gli effetti del cambiamento climatico; 40 miliardi di dollari per aiutarli a rallentare la crescita delle loro emissioni; 5 miliardi di dollari per assicurarsi contro le catastrofi».

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