[08/04/2009] Energia

Bonn: i led risparmiosi dell’India e la paura petrolifera saudita

LIVORNO. Mentre stanno per chiudersi, probabilmente senza grandi risultati, i Bonn climate change talks dell’Unfccc, si delineano meglio gli schieramenti che si confronteranno anche a Copenhagen a dicembre: da una parte i Paesi in via di sviluppo, guidati da Cina ed India, dall’altre i Paesi ricchi che non vogliono andare oltre (con l’eccezione Ue… e non di tutta) la soglia del 20% di riduzione dei gas serra, poi i Paesi Opec che temono che sarà il petrolio a pagare le conseguenze di un pianeta più pulito e virtuoso.

Ajay Mathur, direttore del Bureau of energy efficiency dell’India, si è presentato in sessione plenaria brandendo una lampadina Led come fosse una spada per squarciare il velo dell’ipocrisia occidentale: «Questo è un sistema elettronico, un energy-saving led bulb, che stiamo sviluppando in India», poi ha distribuito lampadine a tutti i delegati.

Secondo la delegazione indiana la lampadina realizzata dalla Indian company Crompton Greaves, che ha sviluppato un progetto olandese, ha l´aspetto di una normale lampadina, ma ha un chip elettronico led che la rende più ecologica di qualsiasi altra lampadina sul mercato, i sui 5 watt equivalgono ad una normale lampada da 40-watt e ha una durata di più di 11 anni di illuminazione se la lampadina restasse accesa 12 ore al giorno. “This is our song-and-dance story,” ha detto Mathur.

Il problema è che la produzione della lampadina indiana avviene ancora su scala molto ridotta, perché la società olandese Lemnis detiene parte del brevetto e così la lampadina miracolosa viene commercializzata a 1200 rupie, un prezzo troppo alto per molti indiani.

Secondo stime della Crompton Greaves, se tutti in India utilizzassero lampade led il Paese potrebbe risparmiare 56 miliardi di Kwh di elettricità e 44 milioni di tonnellate di CO2.

«Questa può essere una´alternativa a basso costo, certamente per l´India ma anche per altri Paesi. Il problema è che dobbiamo importare il chip del led da una società giapponese, il che fa salire il costo il costo al massimo – ha detto Mathur – Per sviluppare queste soluzioni tecnologiche per rispondere al problema del cambiamento climatico è necessario che i Paesi lavorino insieme e condividano tecnologie e brevetti. La tecnologia è l´unica strada. Non possiamo farlo senza il sostegno internazionale, ma il sostegno internazionale è necessario per la produzione su scala. C’è bisogno di un regime globale che sostenga la diffusione di queste tecnologie».

Società indiane come la Crompton Greaves stanno già facendo la loro parte e con modifiche all’originale design olandese è stato possibile ridurre il costo della lampadina, il vetro è prodotto a Firozabad, l’´heat sink´ da una fabbrica Noida, alla periferia di Delhi, poi i componenti vengono assemblati dalla fabbrica Crompton Greaves di Pune.

Secondo Mathur «il costo della lampadina potrebbe essere abbassato molto di più attraverso il sistema del carbon trading, le imprese dei Paesi industrializzati che hanno un limite di emissioni di CO2 più basso di quanto emettono, possono continuare a farlo supportando questi progetti. Nell´ambito del sistema, le imprese che vogliono emettere più CO2 possono farlo attraverso l´acquisto di crediti da chi inquina di meno.
L´acquisto di tagli delle emissioni può fornire il denaro necessario a provvedere ai costi aggiuntivi».

L’entusiasmo dell’India per il risparmio energetico non è affatto condiviso dall’Organization of petroleum exporting countries, i Paesi dell’Opec che non sono d’accordo sulle richieste di emissioni che vengono dagli altri Paesi in via di sviluppo.

Parlando a nome di un gruppo di 49 Paesi meno sviluppati, Pa Ousman Jarju, delegato del Gambia, ha detto che i Paesi Opec stanno negoziando con il G49: «I Paesi Opec non sono ancora d’accordo sulle cifre, perché vogliono capire quali saranno le potenziali conseguenze sulle loro economie e come questo potrà influire sulle esportazioni di petrolio. Per noi è una questione di sopravvivenza, non è una questione economica».

La più attiva e preoccupata a Bonn è stata certamente l’Arabia Saudita. «Qualunque politica venga adottata aggiungerà altre incertezze alla domanda di petrolio - ha detto Mohammad Al Sabban, un consulente del ministero del petrolio e delle risorse minerarie saudita - Noi condividiamo la preoccupazione per i cambiamenti climatici, ma allo stesso tempo non vogliamo esserne una vittima».

Il timore sempre più diffuso tra i Paesi Opec è che gli sforzi Usa e dell’Ue per il risparmio energetico si traducano in una riduzione delle importazioni di petrolio. «Noi vediamo – ha detto Al Sabban - che sicuramente esiste un pregiudizio verso i Paesi produttori di petrolio. Cominciamo a chiederci se l´intenzione sia quella di affrontare il cambiamento climatico o di raggiungere la sicurezza energetica».

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