[09/04/2009] Aria

Ma per la Cina da Bonn nessun risultato concreto

LIVORNO. «La prima importante riunione dell’Onu sul clima nel 2009 si è conclusa mercoledi a Bonn senza alcun risultato concreto, a causa delle grandi divergenze sul clima tra i Paesi in via di sviluppo ed i Paesi sviluppati»: il commento cinese apparso sull’ufficialissima agenzia Xinhua non lascia spazio ad interpretazioni per quel che riguarda il giudizio della Cina sui risultati del Bonn Climate talks dell’Unfccc.

I cinesi ricordano che lo stesso segretario esecutivo dell’Unfccc, Yvo de Boer, aveva ricordato aprendo i lavori di Bonn che fino ad ora ci sono state «Solo 6 settimane di incontri tête-à-tête» e che negoziati più intensi e duraturi sono urgenti, «però – scrive Xinhua facendosi interprete della delusione della delegazione cinese dopo 10 giorni di negoziati, le posizioni tra i Paesi in via di sviluppo ed i Paesi sviluppati sulla riduzione della C02 a medio e lungo termine, continuano ad avere ampie differenze».

I Paesi in via di sviluppo hanno chiesto ai “ricchi” di tagliare entro il 2020 le emissioni di gas serra del 40% in rapporto ai livelli del 1990 e l’Alliance of small island states, 43 piccoli Stati insulari, ha chiesto che le emissioni dei Paesi industrializzati calino addirittura di almeno il 45%.

Cifre lontanissime dal meno 20% proposto dall’Unione Europea (e ritenuto già fin troppo ambizioso e “pericoloso” dall’Italia) che potrebbe arrivare al 30% se anche gli altri Paesi sviluppati si incamminassero su questa strada, ma la nuova amministrazione Usa intende fermarsi ad un 16% – 17%, pensando così di far tornare entro il 2020 le sue emissioni ai livelli del 1990.

Il capo della delegazione cinese a Bonn, Su Wei, ha detto che «Gli impegni degli Stati sviluppati non sono all’altezza della loro responsabilità storica, del loro livello di sviluppo e delle richieste della Convenzione. I Paesi sviluppati non dovrebbero fare tutto il possibile per ridurre le loro responsabilità sul cambiamento climatico, oppure anche scaricare le loro proprie responsabilità sui Paesi in via di sviluppo».

E’ sempre più evidente che a Copenhagen la Cina vuole giocare il ruolo di paladina dei Pasesi poveri, magari in tandem con l’amica-nemica India, visto che i due Paesi sono stati elogiati a Bonn dallo stesso de Boe per le loro iniziative interne di riduzione dei gas serra senza aspettare il nuovo accordo mondiale sul clima.

L’offensiva diplomatica cinese per preparare il terreno di Copenhagen è più che evidente: intervenendo nella capitale etiope Addis Abeba alla riunione dell’Unione Interparlamentare (Upi), il rappresentante cinese, Wang Chaoqun, membro della Commissione per la protezione dell’ambiente e le risorse dell’Assemblea popolare nazionale della Cina, ha confermato la posizione di Pechino sui cambiamenti climatici.

«Il governo cinese aderisce ai seguenti principi – ha detto Wang – rispondere ai cambiamenti climatici nel quadro dello sviluppo sostenibile; assumere responsabilità comuni ma differenziate; accordare un’uguale attenzione all’attenuazione e all’adattamento; trattare il problema in maniera globale; cercare una vasta cooperazione. La Cina sostiene la road map di Bali stabilita nel dicembre 2007 e si sforzerà di contribuire all’applicazione globale, efficace e sostenuta della Convenzione quadro della Nazioni Unite sul cambiamento climatico e del Protocollo di Kyoto».

Il gioco cinese è abbastanza scoperto: dimostrare la maggiore disponibilità non assumendosi impegni vincolanti, (ma magnificando quelli volontari su risparmio energetico, riforestazione, energie rinnovabili), che non rallentino la sua corsa accelerata verso la crescita. In più Pechino può vantare con i Paesi in via di sviluppo, in particolare con quelli africani, rapporti di fiducia cementati con il suo interventismo economico che si basa sull’amicizia con qualsiasi regime, di qualsiasi tendenza politica, legami che potranno venir buoni quando le trattative alla stretta finale di Copenhagen diventeranno davvero un lavoro per uomini duri.

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