[14/04/2009] Acqua

La diga italiana sull’Omo mette in pericolo il lago Turkana

LIVORNO. Il primo ministro dell’Etiopia, Meles Zenawi, ha detto che il suo Paese «rafforzerà la sua strategia per la produzione di elettricità carbon neutral, sviluppo verde. Il progetto idroelettrico Gilgel Gibe III, nel sud-ovest dell’Etiopia tiene conto tanto dell’impatto sociale che di quello ambientale che della fattibilità economica. La valutazione dell’impatto ambientale del progetto è stata condotta interamente dal governo etiope, dalla Banca africana per lo sviluppo, che ha finanziato il progetto, così come da finanziatori indipendenti. L’Etiopia dispone di un grande potenziale di produzione di energia rinnovabile. Abbiamo investito molto per approvvigionare non solo i consumatori interni ma anche per l’esportazione nei Paesi vicini. L´Etiopia ha firmato accordi di scambio di energia con il Sudan, il Kenya e Gibuti».

Effettivamente, l’Etiopia ha un grosso potenziale di produzione idroelettrica di oltre 30.000 MW, che attualmente è sfruttato solo al 2% circa, ma sia per la sua collocazione geografica che per questioni climatiche e ambientali, lo sfruttamento delle risorse idroelettriche etiopi ha creato e potrebbe creare numerosi problemi.

Proprio il progetto Gilgel Gibe III, che dovrebbe realizzare una delle più grandi dighe dell’Africa, che sbarrerà il fiume Omo, creando un bacino lungo 150 chilometri, per molti comprometterà un importantissimo ecosistema fluviale dal quale dipende la vita di numerose comunità locali.

L’Omo, che da il nome ad una Stato della federazione etiope, scorre per 600 chilometri fino al lago Turkana in Kenya. Il fiume è patrimonio dell´Umanità dell’Unesco per i resti di ominidi trovati lungo il suo corso e lungo le sue sponde vivono numerose etnie che vivono di agricoltura ed allevamento che dipendono dalle piene dell’Omo.

La costruzione della Gilgel Gibe III è iniziata nel 2006, a fare la diga è la Salini Costruttori, un’impresa italiana che collabora strettamente con L’Ethiopian electric power corporation (Eepco) controllata dal regime autoritario etiope e che lavora anche in grandi infrastrutture di altri Paesi africani.

Il progetto, dal costo complessivo di 14 miliardi di birr (1,4 miliardi di euro, che in realtà sono già saliti ad 1,8) è stato affidato alla Salini a trattativa diretta senza gara d´appalto, come prevedono sia la legislazione etiope che gli standard internazionali in materia di appalti pubblici.

Con la stessa procedura erano state realizzata più a nord la diga Gilgel Gibe II, realizzata con la partecipazione della Cooperazione Italiana, che nel 2004 ha dato all´Etiopia un prestito di 220 milioni di Euro, proprio il nostro governo cancellava 332 milioni di Euro di debito bilaterale all’Etiopia.

Un prestito approvato nonostante il parere negativi del ministero delle finanze italiano e sul quale aveva iniziato un’indagine la magistratura romana. Infatti, anche se per la valutazione di impatto ambientale le leggi etiopi prevedano precisi obblighi per progetti di questo tipo, la costruzione degli impianti è iniziata senza il permesso ambientale da parte delle autorità locali competenti.

Anche per Gibel Gibe III tra i possibili finanziatori possibili ci sono il governo italiano, la Banca Europea per gli Investimenti, la Banca Africana di Sviluppo e la JP Morgan Chase.

Secondo il coordinatore del progetto per la Eepco, «Sono in corso i lavori per la costruzione della diga e dei tunnel e per la distribuzione e la deviazione delle acque. Il progetto, che avrà una diga con un’altezza di 240 metri, dovrebbe avere una portata di 14,5 miliardi di metri cubi di acqua e deve essere costruita con pietre estratte localmente, diventando così unica, sia a livello locale che internazionale».

La diga dovrebbe essere operativa nel 2013 e produrre 1.870 MW, più che raddoppiando l’energia elettrica del Paese. Secondo la Salini il progetto avrà una capacità di produzione superiore a tutti gli altri 10 progetti simili in costruzione nel Paese e darà lavoro a 5.400 persone.

Dunque, tutto a posto? Non proprio, almeno a sentire quel che la Campagna riforma banca mondiale (Crbm), insieme alla coalizione europea Counter balance chiedono alla Banca europea per gli investimenti (Bei): di non dare prestiti per la costruzione di Gilgel Gibe III che avrebbe effetti devastanti sulla regione del lago Turkana, al quale l’Omo fornisce il 90% delle acque, un’area desertica ai confini tra Etiopia, Sudan e Uganda, dove le popolazioni vivono soprattutto di pastorizia nomade e pesca artigianale e soffrono già per la siccità.

Un abbassamento del livello del lago di 10 – 12 metri provocato dalla diga costruita 500 km a monte del lago, provocherebbe una salinizzazione delle acque del Turkana, con una perdita di biodiversità ed una crisi ecologica che metterebbe prima a rischio la stessa sopravvivenza di 80 mila persone che vivono della pesca e delle attività collaterali e poi quella degli agricoltori che aspettano le piene del fime per fertilizzare con il limo dell’Omo le loro terre.

«Tutto ciò potrebbe avvenire sotto il segno dello sviluppo – sottolinea la Crbm - I soldi dei contribuenti europei così asseterebbero ulteriormente una regione già duramente colpita dal cambiamento climatico e farebbero precipitare questa ampia zona dell´Africa subshariana in una nuova spirale di conflitti».

Meno di un mese fa Caterina Amicucci, campaigner Bei della Cebm, scriveva sul Manifesto che il ruolo giocato dall’Italia nella costruzione delle dighe sull’Omo è decisivo: «Il caso di Gilgel Gibe rappresenta l’ennesimo esempio di una cooperazione scellerata, che utilizza i soldi destinati allo sviluppo per foraggiare le avventure delle nostre imprese all’estero. La storia dell’aiuto italiano ai Paesi in via di sviluppo è piena di casi analoghi, ma ciò che risulta incomprensibile è il coinvolgimento della BEI in questa brutta vicenda che in quanto istituzione europea dovrebbe garantire i più elevati standard di trasparenza. Inoltre l’inchiesta della procura di Roma sul prestito italiano sembra non essere mai iniziata e siamo determinati a capire che fine ha fatto»..

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