[16/04/2009] Urbanistica

Riscopriamo gli standard urbanistici e miglioriamoli

LIVORNO. Martedì 14 aprile sulle pagine toscane di Repubblica si riscoprono gli standard urbanistici, si critica la monetizzazione.
Ben fatto! Ma non bisogna fermarci alla superficie. Gli standard sono stati una grande conquista di un processo di riforma iniziato nel 1962 con la legge 167, quella dell’edilizia economica e popolare, dei Peep, conclusosi nel 1971 con la legge 865 che integrava la legge urbanistica nazionale, individuava una struttura similare ai Peep per realizzare aree da destinare ad attività produttive, i cosiddetti Pip.

Gli standard, 18 mq. per abitante insediabile nell’espansione urbana, 9 mq. per abitante nelle aree già urbanizzate, erano destinati a realizzare verde, parcheggi, scuole, servizi in genere: dimensione forse rozza, ma che rappresentava un livello minimo di civiltà urbana per tutti. Poi è vero che di parcheggi ce ne vuole molti di più, ma quello che è progressivamente apparso insopportabile è stato il vento dei “riformisti dell’ultimo ventennio” che abbandonando quelle che definivano la rigidità metrica degli standard, hanno teorizzato che si doveva puntare alla qualità dello spazio urbano, per negarli. Il problema è che tali teorie hanno trovato appoggi culturali anche nell’Inu, e non solo, come lascia intendere anche, per esempio, il nuovo Ptcp della Provincia di Livorno.

Poi si scopre che Stoccolma è una città migliore di tutte le altre perché oltre a tante altre cose in materia di regolazione del traffico e trasporti pubblici, di uso di energie pulite, di recupero e riciclo dei rifiuti, c’è un parco mediamente a 300 metri da ogni abitazione.

Allora va bene criticare la monetizzazione, ma bisogna essere inequivocabili già nelle leggi nazionali e regionali:

1. Gli standard ci vogliono e forse oltre 18 mq. per abitante, considerato che viaggiamo con un ‘auto ogni 1,5 abitanti;

2. Ci vuole una legge sul regime dei suoli, gli espropri, le modalità di determinazione delle indennità di esproprio che non penalizzando la proprietà non si traduca in perdita economica e finanziaria secca per le comunità, per i comuni le cui casse sono esauste;

3. E´ necessaria la riforma del federalismo che allochi al giusto livello operativo e funzionale competenze senza scaricare tutto sui comuni che hanno sempre meno personale e risorse, come dimostrano molte storie anche di cattivo governo del territorio che sono radicate nella pochezza di strutture e risorse umane;

4. Occorre la riforma della fiscalità locale e alla contestuale riduzione degli introiti da oneri di urbanizzazione, fonti di finanziamento legate alla tassazione delle unità immobiliari, serve sostituire una tassazione vera che non sia figlia di un catasto che ancora oggi privilegia i furbi: quante ville sono civili abitazioni? Quante sono le seconde case lasciate sfitte ma registrate come prima casa ricollocando la residenza dei coniugi e dei figli a spasso per località turistiche di mare o di montagna, mentre si vive sostanzialmente in città?

5. E´ necessario che l’innovazione della valutazione ambientale strategica - che tanto tale non è perché la Direttiva UE è del 2001 ed è in vigore dal luglio 2004, ma troppi hanno fatto finta che non esistesse appellandosi poi alla mancata legge di recepimento - non sia sprecata nella pratica di lunghe “chiacchere” ma vincolata a specifiche e chiare contabilità ambientali e di sostenbilità.

Il piano casa ovviamente in tutto questo è un non senso, avendo bisogno di migliorare l’esistente in termini di sicurezza e qualità tecnologica e ambientale, non di metri cubi, anche se in qualche caso possono servire anche quelli, avendo bisogno di migliorare la città, di qualificare il paesaggio, non di “zeppare” territorio e città di altri volumi.

Torna all'archivio