[23/04/2009] Comunicati

Servizi pubblici locali e bilanci sostenibili

LIVORNO. Le imprese dei servizi pubblici, che presentano oggi a Roma i loro bilanci, non sembrano subire in maniera determinante l’effetto della crisi economica in atto.
I dati relativi alla fine del 2008, evidenziano un valore della produzione intorno ai 44 miliardi (il 4,5% dell’industria italiana) con la voce degli investimenti in continuo aumento (+5%) nonostante la fase recessiva e i problemi che le altre aziende hanno nell’ottenere il credito dagli istituti finanziari.
Tutto bene, quindi? Non sembra dall’analisi più puntuale dei dati anticipati dal Sole 24 ore.

Intanto non tutti i settori presentano bilanci così eccellenti: il saldo costi-ricavi denuncia ad esempio, in milioni di euro, un -145 per il settore dell’energia e un -1286 per il trasporto pubblico locale, mentre è solo il settore dell’igiene ambientale a presentare un saldo positivo di 61 milioni di euro. Ma quello che sembra preoccupare in particolare il settore è l’incertezza normativa che grava ormai da molto tempo su questo ramo d’impresa e che rende difficile fare strategie d’investimento, già nel medio termine.

Il fatto che si discuta da tempo di una riforma del settore verso una maggiore liberalizzazione, che è approdata sino ad ora a un timido tentativo fatto con la manovra finanziaria che all’art. 23 bis introduce il ricorso a procedure competitive ad evidenza pubblica di scelta del gestore, che vale per l’affidamento delle nuove gestioni e per il rinnovo di quelle in essere sino al 2010, non giova infatti a superare i principali punti di debolezza, che ancora caratterizzano il settore dei servizi locali “di rilevanza economica”, come li definisce il testo unico degli enti locali.

Punti di debolezza che in qualche caso sono stati superati grazie all’intraprendenza di alcune aziende presenti in realtà del paese, in particolare al Nord, ma che rimangono come caratteristica generale dell’intero settore, dove la tendenza prevalente è stata “mantenere le posizioni” in attesa anche di un definitivo chiarimento normativo.

Uno di questi punti di debolezza alberga nel generale sottodimensionamento dei gestori affiancato da una tendenza da parte delle amministrazioni locali a moltiplicare, anziché accorpare le società pubbliche non tanto come strumento di transizione verso processi di liberalizzazione quanto come maggiore opportunità di ampliare il loro arroccamento.

A questo va sommata una evidente difficoltà – espressa anche da parte del sistema politico- a realizzare il necessario percorso che porti a una netta distinzione dei poteri, e dei doveri, di offerta dei servizi dai compiti di gestione. Ovvero in una mancata disposizione che riguardi le regole necessarie a garantire da una parte la diffusione della concorrenza e dall’altra la garanzia dell’universalità del servizio, due elementi essenziali per chi lo gestisce e chi deve assicurare che questo servizio abbia il valore di pubblica utilità, che possono essere dati solo prevedendo esplicitamente modalità e strumenti di disciplina dei rapporti tra enti locali e gestori e di tutela degli utenti quali i contratti e le carte dei servizi.

Un percorso quindi non concluso e che si è caricato nel corso del tempo di una complessiva situazione di astrattezza delle norme, condizionate più da impostazioni di stampo ideologico ( con resistenze trasversali a tutti i partiti) che si è espressa nella pretesa di ricondurre forzatamente ad un modello unico situazioni tra loro molto diverse tanto sul piano settoriale che territoriale.

In effetti tra un settore e l’altro ci sono notevoli difformità concernenti sia gli assetti produttivi e di mercato, sia il rapporto con la funzione di assolvere ad un obiettivo pubblico.
Non vi è dubbio ad esempio, che in questo settore il maggior generatore di spesa pubblica sia quello del trasporto pubblico locale, in cui il divario fra costi di produzione e ricavi commerciali raggiunge il massimo valore tra tutti gli altri servizi.

Come non vi dubbio sul valore di servizio pubblico cui assolve la mobilità locale, ma è in questo settore che gli eccessivi costi di gestione e le basse tariffe finiscono per sottrarre risorse pubbliche che potrebbero essere destinate a favore di una mobilità sostenibile, intesa come un servizio capace di far circolare più mezzi pubblici a basse emissioni inquinanti, così come maggiori linee di trasporto a parità di spesa, insomma per garantire un trasporto più efficace (e quindi di intercettare un maggior numero di utenti) e più efficiente (e quindi in grado di offrire un miglior rapporto in termini di costi- soddisfazione del servizio).

Quindi per i servizi pubblici locali un percorso che porti ad un sistema di caduta dei monopoli e delle rendite acquisite, non potrà che essere di ausilio per conseguire obiettivi di risparmio e di efficienza, con maggiori garanzie da parte dei benefici che ne potranno trarre i cittadini. Così come potrà esservi una maggiore opportunità di nuove prospettive di lavoro se si allarga il denominatore delle aziende o delle imprese che potranno intervenire sul mercato.

E’ certo che servono regole cui non dovrà sottrarsi nemmeno un’impresa pubblica, così come è necessario sgombrare il campo dalla confusione che spesso viene fatta della liberalizzazione scambiata come privatizzazione, che non aiuta certo a sviluppare percorsi che sarebbero invece molto utili per individuare quali siano gli schemi più adatti per realizzare una società, locale e globale, più sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che sociale.

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