[24/04/2009] Comunicati

Il sistema naturale in cui viviamo è sovraordinato al sistema economico di Gianfranco Bologna

ROMA. La celebrazione della Giornata della Terra il 22 aprile ci ha riproposto un tema centrale per tutti noi, il rapporto con il mondo della natura. Quanto la nostra cultura di massa sia purtroppo molto distaccata dal nostro originale legame e del contatto fisico con i sistemi naturali costituisce, a mio avviso, un problema centrale dell’attuazione concreta delle politiche di sostenibilità.

Infatti viviamo immersi in una cultura strettamente legata a una visione del mondo improntata su basi economicistiche, dove si giunge persino a ritenere che il nostro sistema economico e produttivo costituisca il sistema in cui viviamo, ignorando invece il fatto centrale che tale sistema è, in realtà, un sottosistema del grande ecosistema globale del nostro pianeta.

La nostra specie dipende sempre dal mondo naturale da cui deriva e, senza di esso, non può vivere in maniera soddisfacente e per lungo tempo, né dal punto di vista fisico né da quello psichico.

Il grande etologo Konrad Lorenz (1903 - 1989), premio Nobel 1973, che ha studiato e riflettuto molto sull’evoluzione della conoscenza, ha scritto nel 1984, in uno dei suoi libri più belli, “Il declino dell’uomo” (Mondatori): «In un ordine universale di tipo tecnocratico lo sviluppo stesso, nel senso più angustamente riduttivo di questa parola, è considerato la quintessenza della creazione di nuovi valori. Per dimostrarlo non c’è esempio migliore del significato che assume negli Stati Uniti l’espressione “sviluppare un terreno” (to develop an area). Per “svilupparla” si distrugge radicalmente ogni forma di vegetazione naturale; si ricopre il terreno così liberato con uno strato di cemento (o, nel migliore dei casi, si semina l’erbetta rada che riveste i parchi pubblici delle città); se esiste anche una fascia di litorale, la si rinforza con un bell’argine di cemento; i corsi d’acqua vengono sistemati a terrazze (o meglio ancora, se possibile, incanalati in apposite tubazioni); si avvelena a fondo tutto quanto con potentissimi anticrittogamici e infine si vende il terreno al migliore offerente, cioè a un consumatore instupidito e addomesticato dall’assuefazione alla vita cittadina. Nel pensiero tecnomorfo esiste una sorta di meccanismo nevrotico coatto: la semplice possibilità tecnica di realizzare un determinato progetto viene scambiata con il dovere di porlo effettivamente in atto. Si tratta di un vero e proprio comandamento della religione tecnocratica: tutto ciò che è in qualche modo realizzabile deve essere realizzato».

Più oltre Lorenz scrive :«Ma il sistema tecnocratico che oggi domina su scala planetaria è in procinto di livellare ogni autentica differenza culturale. Tutti i popoli della terra, con l’eccezione di quelli cosidetti sottosviluppati, producono con le stesse tecniche le stesse merci, coltivano identiche monocolture con macchine agricole identiche, combattono con le medesime armi. Ma, soprattutto, si fanno concorrenza sullo stesso mercato mondiale e fanno del loro meglio per arrivare primi adoperando gli stessi metodi di propaganda. Le diversità qualitative che, venendo a contatto fra loro, potrebbero produrre effetti creativi, tendono sempre più a svanire».

La tesi di Lorenz è da lui illustrata in queste brevi ma chiare parole: «L’evoluzione culturale dell’umanità procede dritto davanti a sé, sempre più veloce; in questo momento ha raggiunto un movimento così rapido che non è esagerato affermare che, al confronto con l’evoluzione culturale, l’evoluzione genetica può essere considerata trascurabile, addirittura uguale a zero. I mutamenti prodotti su scala planetaria dall’evoluzione della cultura umana si compiono secondo ritmi tanto veloci da escludere del tutto che lo sviluppo genetico della specie (filogenesi) possa tenervi dietro, possa “restare al passo”. Sull’uomo in quanto uomo grava una minaccia di estrema gravità. “L’eterna forza attiva che crea benefica”, come la chiama Goethe (nel suo “Faust” – ndr) oggi può agire in un solo modo: attraverso la sensibilità degli uomini per determinati valori. L’evoluzione della vita organica sul nostro pianeta e nel nostro presente, procederà “verso l’alto” oppure “verso il basso”? Sarà l’uomo a decidere, e ne porterà l’intera responsabilità. Ma senza una specifica sensibilità per i “valori” al problema dell’agire umano non si può dare risposta alcuna, né con comandi né con divieti».

In quanto a formazione di “valori”, scontiamo il fatto che la cultura dominante è una cultura profondamente economica, molto carente di conoscenze e di approcci di stampo ecologico.
La stragrande maggioranza dei politici e dei decisori ignora le basilari conoscenze dell’ecologia, vive in una dimensione culturale molto distante dalla natura, dalle conoscenze relative alle sue funzioni, ai suoi processi, alle sue dinamiche.

Nel 1991, un anno prima del grande Earth summit dell’Onu a Rio de Janeiro, l’Iucn, l’Unep e il Wwf hanno pubblicato l’interessantissimo rapporto sulla Strategia per un vivere sostenibile dal titolo “Prendersi cura della terra”, che tra le altre cose, ha sollevato la fondamentale importanza di ottenere un consenso globale per un’etica del vivere sostenibile. La Strategia ricorda, a mio avviso opportunamente, che non basta far conoscere e spiegare un nuovo approccio al proprio vivere perché non è sufficiente essere bene informati per prendere le decisioni giuste.

Sono infatti i sistemi di valori che determinano come la gente persegua finalità politiche, legali, sociali, tecnologiche ecc.
La Strategia “Prendersi cura della Terra” ricorda che un’etica è importante, perché quel che fa la gente dipende da quello in cui crede. Molte volte convinzioni comuni hanno una forza superiore alle stesse leggi. La transizione verso società sostenibili richiederà cambiamenti nel modo di considerare gli altri esseri umani, le altre forme di vita e la Terra stessa, cambiamenti nella valutazione dei bisogni e delle priorità e cambiamenti nel comportamento.

Ad esempio, la sicurezza individuale è importante, ma bisogna capire che non la si otterrà unicamente (o anche in gran parte) grazie ad una crescita indefinita dei propri consumi. La Strategia ritiene quindi fondamentale rendere esplicita questa nuova etica del vivere sostenibile e guadagnare consenso per essa perché:

- è moralmente giusto;
- senza di essa, il futuro dell’umanità è in pericolo;
- povertà, conflitti e tragedie aumenteranno sempre di più;
- le azioni individuali si combinano, forse per la prima volta, per produrre effetti globali; poiché i problemi globali che così nascono sono il prodotto del conflitto tra aspirazioni diverse e della competizione per risorse scarse, anche i principi etici che possono permettersi di risolvere questi problemi vanno condivisi a livello globale;
- al momento, nessuna delle maggiori società umane vive secondo un sistema di valori che abbia a cuore il futuro delle comunità umane e delle altre forme di vita sulla Terra.

Sappiamo che esistono forti barriere, soprattutto culturali, che impediscono di affrontare con capacità innovative e di futuro le sfide che abbiamo di fronte e, soprattutto, di affrontare i problemi in un’approccio realmente integrato e transdisciplinare. Ma è questa la grande sfida che dobbiamo urgentemente affrontare e non possiamo più permetterci di perdere tempo.

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