[24/04/2009] Rifiuti

Rifiuti, Cispel: un confronto tra la Piana e le esperienze europee

FIRENZE. Come viene gestito il ciclo dei rifiuti in altre realtà europee? Quali differenze sussistono, tra Italia e altri paesi, nell’approccio e nelle modalità operative con cui sono gestiti il recupero di materia e quello di energia? Cosa cambia a livello politico, nel settore, tra qui e l’estero? Quanto è radicato il Nimby in Europa, rispetto alla situazione italiana? E quanto è forte il suo “corrispettivo amministrativo”, cioè quel Nimto (not in my time of office, traducibile anche come “non durante il mio mandato politico”) che ancor più del “non nel mio giardino” ha influito sulla cronica carenza di impianti di trattamento dei rifiuti che caratterizza il Belpaese? E come, con quali modalità comunicative, operative e di tassazione/tariffazione, vengono affrontati gli aspetti inerenti alla sostenibilità sociale ed economica degli impianti?

A tutte queste domande ha cercato di dare una risposta il convegno “La gestione dei rifiuti in Europa” tenutosi a Firenze, dove Cispel-confservizi e la locale Camera di commercio hanno presentato una ricerca che mette a confronto l’area dell’Ato Toscana centro (Firenze-Prato-Pistoia) con altre 7 realtà urbane europee (Vienna, Dusseldorf, Monaco di Baviera, Bilbao, Lille, Copenhagen, Budapest) ad essa paragonabili per dimensioni e caratteristiche gestionali.

Vediamo quindi i principali dati comparativi. Anzitutto emerge una questione che in apparenza è solo terminologica, ma che in realtà è più che sostanziale: in Europa il concetto di “raccolta differenziata” è generalmente sostituito da quello di “riciclaggio”, coerentemente con le indicazioni contenute nella nuova direttiva sui rifiuti 2008/98/CE, che dovrà essere recepita nei paesi membri entro il 12 dicembre 2012. Questo ha, come prima conseguenza, il fatto che generalmente gli obiettivi minimi sono espressi in termini di riciclaggio effettivo dei materiali, e non di raccolta differenziata, e ciò a sua volta toglie già una di quelle forzature (tipiche del nostro paese) che dalla terminologia sfociano poi nel senso comune e, peggio ancora, nelle modalità amministrative.

Altra differenza sostanziale sta nel rapporto tra recupero di materia e recupero energetico: in tutte e 7 le realtà estere esaminate, la quota di termovalorizzazione è superiore a quella di recupero/riciclaggio di materia. La media totale tra le città esaminate vede circa un 32% di rifiuti che vengono avviati a recupero di materia (attenzione: in alcuni casi i dati sul riciclaggio, carenti, sono sostituiti da quelli sulla differenziata) e circa il 50% che viene avviato alla termovalorizzazione. L’obiettivo del piano dell’Ato Toscana centro indica invece un rapporto opposto: secondo Cispel è previsto, a regime, il recupero/riciclaggio del 47% dei rifiuti e la termovalorizzazione di una quota del 30%.

Riguardo alla quantità di rifiuti prodotti, la realtà Fi-Po-Pt è quella con la maggiore produzione pro-capite tra le 8 esaminate: circa 689 kg/abitante/anno, superiore di poco a Lille (678) e a Dusseldorf (612), e molto maggiore di Bilbao (590), Vienna (554), Monaco (491), Copenhagen (471), e Budapest (432). A questo proposito, il confronto tra quanto avviene nelle aree metropolitane e la media nazionale indica che la produzione di rifiuti nelle aree di Vienna, Copenhagen e Monaco è inferiore alla media nazionale, cosa che non avviene nelle altre realtà come la Piana fiorentina, mentre Bilbao è in media: questo dato è particolarmente indicativo dell’efficienza del ciclo, perchè tipicamente sono le aree metropolitane a produrre più rifiuti pro-capite, rispetto al resto del paese. In generale, dati Eurostat indicano che nell’Ue a 15 i rifiuti prodotti sono cresciuti del 8,1%, con un tasso annuo dello 0,7% di crescita.

Altro dato particolarmente interessante, e indicativo dell’alta efficienza raggiunta in alcune realtà, è quello del rapporto tra Pil (che, essendo i rilevamenti stati effettuati nel 2006 e nel 2007, prima dell’inizio della crisi, è in crescita in tutte le aree oggetto di studio) e la produzione di rifiuti, che rappresentano generalmente un dato accoppiato almeno finché il paradigma della crescita economica “a tutti i costi” resterà imperante: anche se il dato relativo – avverte Cispel – è solo una bozza e necessita di ulteriori approfondimenti, si evidenzia che negli ultimi cinque anni, a fronte come detto di una generale crescita del Pil, nelle aree di Dusseldorf e di Lille i rifiuti prodotti sono diminuiti, mentre a Monaco sono stabili. Cispel attribuisce queste positive performance alle «particolari politiche di prevenzione e strategie volte al contenimento della produzione di rifiuti». L’obiettivo del disaccoppiamento tra Pil e rifiuti è comunque posto anche nella già citata direttiva 2008/98.

In generale, Cispel individua nella minore frammentazione delle competenze, nella forte presenza del pubblico (ma solo nella fase di trattamento finale, non nel recupero e riciclaggio dei rifiuti) e nella radicata attenzione agli aspetti comunicativi e di coinvolgimento degli utenti altre significative differenze tra la realtà della Piana fiorentina e le altre aree metropolitane. E poi c’è l’aspetto politico: l’atteggiamento con cui è affrontata la questione in Europa è definito «più pragmatico, meno ideologico, più legato al buonsenso e meno a slogan propagandistici».

Anche l’assessore all’Ambiente della regione Toscana, Anna Rita Bramerini, ha parlato delle esperienze europee come di un «punto di arrivo per le politiche della Toscana», una regione dove «si fa la differenziata spinta ma poi mancano gli impianti di compostaggio» e dove tuttora una quota significativa di rifiuti (il 60% circa) va a finire in discarica. Nelle altre realtà europee, osserva Bramerini, «il rapporto tra i rifiuti conferiti in discarica e quelli termovalorizzati è pressoché opposto rispetto a quanto avviene da noi», dove la quota termovalorizzata è circa dell’ 8- 10%».

«Occorre quindi capire - ha chiosato – che differenziata e termovalorizzazione non si escludono a vicenda, poichè in queste realtà, dove pure la differenziata è spinta (ad es. Monaco 46%, Copenhagen 42, ndr), gli impianti di termovalorizzazione sono stati realizzati, e senza bisogno di chiamare l’esercito come avviene da noi».

Ed è, in chiusura, proprio l’aspetto relativo alla minore ideologia presente (all’estero) nel dibattito che appare più significativo: alcuni impianti (es. Dusseldorf, 1965, e Budapest, dove l’impianto è stato costruito in epoca sovietica e quindi il dissenso è stato gestito come si può immaginare) sono stati costruiti in un’epoca in cui le questioni ambientali (e quindi anche le proteste contro gli impianti, sia quelle motivate sia quelle di pura matrice Nimby) erano ancora molto marginali nel dibattito politico. Ciò ha sicuramente comportato una loro maggiore dannosità, poi progressivamente contrastata in corso d’opera con miglioramenti successivi, ma ha anche fatto sì che la loro messa in opera sia avvenuta con criteri industriali e operativi, cioè finalizzati all’efficienza di processo, e non su criteri prevalentemente legati al consenso politico come spesso (troppo spesso) continua ad avvenire nel nostro paese e nella regione Toscana.

E´ l’ideologia che ci taglia le ali, e all’estero (almeno nelle realtà prese in considerazione nel convegno odierno) questo sembrano averlo già capito da tempo: da no, il dibattito ancora appare incastrato intorno a simboli, intorno a una lotta che ha avuto le sue conseguenze positive in termini di miglioramento della dannosità degli impianti (si confrontino, per comprendere, le emissioni medie di un termovalorizzatore a inizio anni ’90 e quelle odierne), ma che ancora troppo spesso ostacola la realizzazione di impianti, anche di quelli di puro trattamento (es. compostaggio), la cui mancanza, come detto, vanifica in buona parte anche lo sforzo della cittadinanza per differenziare i rifiuti urbani.

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