[28/04/2009] Parchi

Quale futuro per i parchi italiani? (1)

PISA. ‘Quale futuro per i parchi’ è stato il tema anche dell’ultimo congresso di Federparchi ma all’interrogativo – forse a causa anche di problemi in parte imprevisti per l’associazione - non sono venute le risposte che sarebbe stato legittimo aspettarsi e che comunque andranno date e non solo da parte della associazione.
La questione infatti, come da più parti giustamente viene sollecitato, non può essere elusa pena qualche amara sorpresa di cui avvertiamo già più d’un preoccupante segnale.

A chi guardi oggi alla vicenda delle nostre aree protette non affidandosi unicamente alle cronache spesso fuorvianti non può sfuggire che si è verificata negli ultimi tempi una ‘caduta’ che va molto al di là di quegli effetti – pur seri - dovuti ai commissariamenti, ai tagli di bilancio, alle pretese burocratiche di un ministero sempre più privo di una qualsiasi strategia degna di questo nome.

La sortita del nuovo ministro Prestigiacomo all’indomani del suo insediamento su una possibile ‘privatizzazione’ del parchi nella sua rozzezza politico-istituzionale e forse anche inconsapevolmente ha probabilmente più di tante giuste e sacrosante polemiche evidenziato che per tanti versi oggi il Re è nudo. Tutta una serie di segnali infatti che negli ultimi anni ci hanno di volta in volta indotti a reazioni e riflessioni critiche ed anche autocritiche –penso ad esempio ai parchi nazionali che non riescono a dotarsi di un piano o di politiche o progetti che restano impigliati nelle procedure burocratiche d’altri tempi- hanno attivato una nostra attenzione (non di molti) senza però farci cogliere se non molto parzialmente il senso e i rischi di fondo. Quello politico innanzitutto e già meno quello istituzionale (vedi al riguardo anche le difficoltà delle stesse regioni dove più forte e radicata è la presenza e la tradizione delle aree protette).

Il ruolo dei parchi è andato così via via appannandosi, opacizzandosi – certo non nella stessa misura tra parchi nazionali e regionali o tra regione e regione- me senza comunque risparmiare nessuno. Tanto è vero che ha potuto trovare ascolto persino l’accusa ai parchi di sperpero, poltronificio etc, quando nella realtà i parchi più che gozzovigliare stentano come mai prima d’ora. La ‘percezione’ ha fatto insomma strame della situazione concreta che è si preoccupante ma non certo per quelle ragioni. Il parco si è in buona sostanza rivelato ‘vulnerabile’ anche ad accuse palesemente infondate, ha perso credibilità anche su terreni che sono ‘estranei’ alla sua concreta ed effettiva esperienza e competenza.

Uno scetticismo non riconducibile però -almeno in larga misura- a quella ‘ostilità’ verso i parchi dei primi anni quando furono a torto considerati portatori solo di vincoli e impedimenti. In molti casi, infatti, prevalse poi il volto vero del parco specie laddove alle sue spalle vi erano state significative battaglie contro progetti speculativi ad alto rischio ambientale. Ciò che oggi probabilmente prevale invece anche nei confronti dei parchi è la ‘sfiducia’ che investe e riguarda il complesso delle istituzioni sempre meno capaci di esercitare un governo del territorio non improntato a ‘malgoverno’, corruzione, non rispetto delle leggi e non solo quelle antisismiche; vedi l’abusivismo dilagante.

Se questo è vero va subito aggiunto che questa ‘sfiducia’ pur riguardando il complesso delle istituzioni sia pure in misura differenziata, per i parchi ha effetti ben maggiori perché il soggetto parco è un soggetto che può legittimarsi solo se è in grado di ‘gestire’ un particolare territorio non connotato da confini amministrativi all’insegna e in ‘nome’ di politiche generali e qualificate in campo ambientale, altrimenti in un certo senso appare ‘inutile’, ingiustificato specie in tempi di carestia.

Un comune –anche il più malmesso- ha comunque delle funzioni che ne legittimano in ogni caso un ruolo e la presenza. Un parco no; deve essere in grado di gestire ciò che altri non debbono gestire con politiche, progetti, idee coerenti con le sue finalità ‘speciali’, perché non ha ripieghi che si tratti dell’anagrafe o dei parcheggi. Tanto è vero che enti pur elettivi quando non riescono allo stesso modo a giustificare a tutti gli effetti il loro ruolo-è il caso delle province- vengono –e non è la prima volta- rimessi in discussione.

E se come extrema ratio ci si limita a fare alcune cose anche utili che però fanno anche altri talvolta meglio e che non discendono e scaturiscono chiaramente da quelle finalità più generali tipiche e proprie di un parco perchè competono magari principalmente ad altri, è chiaro che esse apparendo in un certo senso improprie o ‘inventate’ suscitano diffidenze in un panorama istituzionale già così affollato di enti per di più elettivi.
(continua)

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