[23/05/2006] Comunicati

Giovanelli: «L´Ambiente non può restare un ministero della comunicazione»

REGGIO EMILIA. Fausto Giovanelli, avvocato e insegnante di scuola superiore, membro del consiglio nazionale dei Ds, ha concluso nei giorni scorsi la sua avventura in Senato, dove era stato eletto nel 2001.
Segretario della commissione territorio, ambiente e beni ambientali nella XI legislatura, capogruppo nella commissione permanente territorio, e beni ambientali in quella successiva, è stato primo firmatario di 17 disegni di legge soprattutto in materia di tutela dell’ambiente e salvaguardia del territorio e cofirmatario di 27 disegni di legge.
Nella XIII legislatura Giovanelli (nella foto) ha ricoperto l’incarico di presidente della commissione permanente territorio, ambiente e beni ambientali, ed è stato membro della commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. A lui chiediamo di fare il punto della situazione sulle tematiche ambientali al passaggio del nuovo governo.

Il nuovo governo sta muovendo i primi passi, che posto avrà l´ambiente nella pratica quotidiana?
«Il Centrosinistra ha presentato un programma ed elaborato idee che, seppur finora non abbiano ancora potuto dimostrare la loro concretezza, dicono comunque che la chiave sarà nell’integrazione e nel legame molto stretto tra economia, ecologia e società. Quindi il mio non può che essere un giudizio positivo ma problematico. Problematico perché mi pare che il centrosinistra nel rapporto con l’ambiente soffra di una idea piuttosto datata di separazione della tematica ambientale rispetto a quelle economiche dello sviluppo e della fiscalità. Questo anche per il fatto che esiste un partito Verde nella coalizione che tende a presentare una tematica senza volerlo in modo separato».

Quali sono secondo lei le priorità che questo governo dovrebbe seguire?
«Stando ai temi di maggiore attualità e urgenza metto sicuramente al primo posto la sfida energetica, che è un tutt´uno con l’innovazione tecnologica: è necessario accettare la sfida di Kyoto così come abbiamo accettato quella dell’euro. Kyoto non deve cioè essere considerato un vincolo, ma un incentivo per migliorare l’efficienza del sistema. Penso a quel 20-30% che può essere recuperato con un consumo più intelligente che privilegi l’efficienza di sistema, anche facendo un uso più intelligente delle leve fiscali: nel 2005 sono stati 29 milioni di euro gli introiti delle accise sugli oli combustibili: questa è un’enorme ‘carbon tax’ usata senza intelligenza solo per coprire costi, mentre un uso intelligente presupporrebbe di reinvestire parte di questi soldi nell’efficienza».

Rimanendo in tema di energia, l’Italia ha bisogno di rigassificatori?
«Io credo che sui rigassificatori e sua altre grandi infrastrutture ci sia prima di tutto un problema di governance del territorio: certamente ne abbiamo bisogno, ma certamente non si può concentrare tutto insieme e va preso atto che se non c’è sufficiente consenso è impossibile forzare la mano. Mi riferisco anche al vostro caso toscano, quello di Livorno, un caso che non conosco approfonditamente ma di cui si parla spesso a livello nazionale, perché l’opposizione è ben motivata e quindi per convincere l’opinione pubblica è necessario fare un’opera di sensibilizzazione e conoscenza della contabilità ambientale del progetto, non si può sfondare a spallate e farli a tutti i costi, anche perché comunque credo che in Italia i rigassificatori vadano fatti, ma vadano fatti bene. E allora ne basteranno 4 o 5 in tutta la penisola, uno di questi è sicuramente quello di Monfalcone, sul quale non ho alcun dubbio».

Altri suggerimenti per l’esecutivo guidato da Romano Prodi?
«Un´altra questione importante riguarda il territorio. In questi ultimi anni l’edilizia ha sostituito i bot come bene rifugio. Ritengo che sia necessario rivedere tutto il sistema degli oneri di urbanizzazione e dell’Ici in modo da non farli diventare incentivi all’edilizia sfrenata che poi quasi sempre sfocia nella speculazione. Non dico di aumentarli, ma di rimodularli, sganciandoli dal locale: una parte dovrebbe andare al comune e una parte a livello nazionale, che poi la ridistribuirerebbe attraverso altre forme. Questo perché se le cose continuano a funzionare in questo modo la finanza locale resterà impiccata all’Ici, inseguendo un’espansione edilizia massiva invece della qualità».

Il precedente governo ha lasciato in eredità la legge delega sull’ambiente. Pensa che sia necessario intervenire in qualche modo per correggerla?
«Bisogna riscrivere una buona parte dei decreti delegati della legge delega, fatti in modo comicamente teso a dare risposte particolari da una parte ed ideologiche da un’altra. In che modo? Usando la delega stessa: il nuovo governo infatti ha la delega a rivedere la delega e può quindi mettere mano alle parti più critiche.
Tra le parti sicuramente da rivedere c’è tutta la tematica relativa alle autorità di bacino, che con un blitz degli ultimi giorni il centrodestra è riuscito a delegittimare tutto il lavoro fatto e che stava dando i propri risultati. Sui rifiuti credo vadano attentamente eliminati tutti quei piccoli favori a questo e a quello che non tengono minimamente in conto il portafoglio: non si può pensare infatti di sottrarre categorie di superfici o categorie produttive per poi far pagare la differenza a tutti gli altri cittadini. Anche sulle bonifiche, condividendo un impostazione dell’approccio di sicurezza serve una garanzia degli interessi pubblici, ovvero che gli accordi di programma non siano sotterfugi per derogare alle leggi. Un approccio di rischio serio quindi, perché finora forse c’è stato un eccesso di vincoli e di controlli che ha creato l’immobilismo del settore».

Nei suoi lavori ha affrontato spesso il tema della contabilità ambientale. Quanto è importante?
«Le faccio un esempio: ogni estate si dice che l’Italia soffre tremendamente del rischio-incendi e si spendono molte risorse per questo problema. In realtà la superificie boschiva italiana cresce ormai ininterrottamente dal 1999. La contabilità ambientale serve a dare cifre e valutazioni concrete, basate su dati reali, con un approccio di rischio molto più serio di quello attuale.
Per sviluppare la contabilità ambientale i dati ci sono già, tutte le Arpa regionali e l’Istat sono in grado di fornire un database adeguato, ma deve essere il governo a voler utilizzare questi dati».

Perché allora non lo facciamo?
«Perché per una nuova politica ambientale c’è bisogno di nuova governance: lo sviluppo sostenibile ha bisogno anche di istituzioni calibrate che non siano stanze separate all’interno del governo: le tematiche dell’ambiente non si risolvono negli assessorati all’ambiente, bisogna trovare sedi diverse, come quelle del bilancio e della finanza: l’ambiente non può rimanere un ministero della comunicazione ambientale».

Qual è lo strumento in grado di attivare questa nuova governance.
«Bisogna mettere in campo strumenti di terza generazione: cioè quelli della concertazione sociale ed economica. Penso prima di tutto ad Agenda 21, che ora è diventata una sigla povera, ma che invece sarebbe la scommessa su cui impostare la nuova governance: fatta prima di tutto di una contabilità ambientale, cioè di sistemi di bilancio paralleli a quelli finanziari, cultura e responsabilità dei numeri.
Serve uno scarto culturale e di volontà politica perché se non lo si fa e si considera l’ambiente solo come variabile o interferenza non risolveremo né i problemi dell’ambiente né quelli del Paese. Il centrosinistra ha i cromosomi per affrontare questo scarto culturale».

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