[30/04/2009] Consumo

Metabolismo industriale, flussi di materia e flussi di energia di Gianfranco Bologna

ROMA. E’ stato recentemente pubblicato per conto del Parlamento Europeo un interessantissimo studio condotto da noti esperti, dal titolo “Eco-innovation – putting the Eu on the path to a resource and energy efficient economy” (si può scaricare dalle pubblicazioni sul sito del Wuppertal Institute).
Lo studio è stato realizzato da tre famosi istituti di ricerca sulla sostenibilità, il Wuppertal institute per il clima, l’energia e l’ambiente, il Sustainable europe research institute (Seri) e il Factor 10 institute con il supporto dell’apposito Collaborating centre on sustainable consumption and production esistente tra l’Unep e lo stesso istituto Wuppertal.

Tra i noti esperti autori del rapporto troviamo nomi come Friederich Schmidt-Bleek, Fritz Hinterberger, Raimund Bleischwitz e Stefan Giljium. Abbiamo già sottolineato più volte, anche nelle pagine degli articoli di questa rubrica su Greenreport, “Verso la scienza della sostenibilità”, la cruciale importanza che assume per il nostro immediato futuro l’intervento sui nostri modelli di produzione e consumo, modelli che attualmente agiscono in maniera significativa e pesante sullo stato delle nostre risorse, dei nostri ecosistemi e delle capacità rigenerative e assimilative che i sistemi naturali presentano nei confronti del nostro impatto.

Esiste ormai un consolidato ambito di ricerche che si occupa del flusso di energia e di materia che attraversa i sistemi artificiali creati dalla nostra specie e cioè i sistemi tecnologici, industriali, economici ecc.
Siamo ormai sempre più consapevoli che le società industriali sono profondamente inefficienti in termini di bilanci di energia e di materia rispetto alle straordinarie capacità dei processi circolari della natura.

Infatti non è un caso che il focus relativo all’avvio di percorsi concreti di sostenibilità dello sviluppo viene sempre più concentrato sull’intero “metabolismo” dei sistemi sociali rispetto a quelli naturali.
Per intervenire efficacemente nel modificare gli attuali modelli di sviluppo e i conseguenti pattern di produzione e consumo, rendendoli più sostenibili, è quindi necessario comprendere a fondo la dimensione biofisica dei nostri sistemi socio-economici.

Oggetto di grande interesse è perciò il flusso di materia ed energia che preleviamo dai sistemi naturali, trasformiano, utilizziamo e dal quale produciamo scarti e rifiuti (molti dei quali non “metabolizzabili” dai sistemi naturali).

Una grande quantità di ricerche sono state così stimolate nell’ambito di quel campo di indagine che è stato definito “metabolismo industriale” (come indicato da studiosi come Bob Ayres e Udo Simonis) oppure “metabolismo della società” (come indicato da studiosi come Marina Fischer-Kowalski e Helmut Haberl).

Come abbiamo visto anche nei precedenti articoli di questa rubrica, le ricerche realizzate nel campo della scienza del Sistema Terra ci dimostrano che, se consideriamo a livello globale i flussi di materia provocati dalle società umane, essi si presentano di dimensioni paragonabili o persino superiori a quelli che hanno luogo nei sistemi naturali per cause naturali.

Conseguentemente i flussi prodotti dalla specie umana comportano modificazioni importanti nella stessa composizione fisica della superficie terrestre, nonchè della sua copertura vegetale, della sua biodiversità, dei cicli biogeochimici e, persino, della composizione stessa dell’atmosfera (come sta avvenendo per la quantità di carbonio in essa presente).

Non vi è più dubbio che, per avviare percorsi di sostenibilità dello sviluppo, sia perciò necessario ridurre i flussi di materia ed energia indotti dalla produzione e dal consumo delle società umane.
L’ampio studio citato in apertura fa il punto sulle conoscenze che abbiamo circa l’estrazione globale delle risorse naturali che noi facciamo.

Dal 1980 l’estrazione globale di risorse abiotiche (combustibili fossili, minerali) e biotiche (prodotti agricoli, forestali e ittici) è aumentato dai 40 miliardi di tonnellate annue alle 58 del 2005. Gli scenari più attendibili prevedono, se questo trend persiste, di raggiungere nel 2020 gli 80 miliardi di tonnellate annue.

L’Unione Europea è la regione al mondo che ricava, al di fuori del proprio territorio, la maggior parte delle risorse estratte e utilizzate. In Europa, negli ultimi 25 anni, la crescita dell’estrazione delle risorse nel proprio territorio si è andata riducendo mentre molto alta è stata nei confronti delle risorse importate.

Per questo motivo, come illustra il rapporto del Wuppertal Institute e degli altri enti di ricerca, diventano fondamentali le iniziative concrete di eco-innovazione da intraprendere nelle tre aree che provocano maggiore flusso di materia, che sono quelle relative all’edificato (sostenibilità dei materiali di costruzione), dei trasporti (sostenibilità dei metalli e delle manifatture automobilistiche) e della nutrizione (sostenibilità dell’agricoltura e della produzione del cibo in genere).

Sono questi i fronti innovativi delle nuove politiche ambientali e di sostenibilità che dovrebbero essere intrapresi con vigore da subito perché il tempo è la risorsa che si sta dimostrando più significativa nella battaglia per giungere a modelli di sviluppo meno insostenibili degli attuali.


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