[30/04/2009] Comunicati

Cosa resterà degli anni Dieci del 2000? L´inizio della pratica della sostenbilità

LIVORNO. Come passeranno alla storia gli anni Dieci del 2000? Forse come quelli dell’11 settembre e della prima grande crisi globale. Oppure, per l’italiano medio, come quelli di calciopoli. Oppure…oppure vengono in mente praticamente solo eventi negativi se si pensa alla giustizia, alle guerre, alla fame nel mondo. Qualcuno in questi anni ha dato insomma una buona ragione concreta per credere in un futuro migliore? Forse sì. Almeno in questi ultimi scorci di decennio c’è una speranza. Si chiama sostenibilità ambientale e sociale.

Fino a qualche tempo fa concetto astratto per i più, oggi assai presente (anche se magari non esplicitato con queste esatta dizione) sia nelle parole dei grandi leader politici (e qualche volta anche nelle azioni), sia in quelle di molti imprenditori, sia in quelle di diversi economisti, sia tra la gente. Non stiamo farneticando e oggi gli argomenti ce li fornisce la consueta rassegna stampa.

C’è Obama, la speranza nella speranza di questo fine decennio, che ha ribadito allo scoccare dei suoi primi 100 giorni da presidente che «la nuova frontiera è quella dei posti di lavoro verdi, proseguiremo l’obiettivo delle energie pulite» (Il Manifesto). C’è Sarkozy, che da destra, gli fa eco lanciando la Grande Parigi parlandone come «la città del dopo Kyoto» che «allea la natura senza combatterla». Un’idea di città (e anche un progetto dal costo di 35 miliardi per dieci anni di lavori) grazie al quale (Sole24Ore) «il verde dovrà impadronirsi della nuova metropoli, capitale mondiale dello sviluppo sostenibile», con un treno, il “grande otto” che collegherà il centro alla periferia con l’obiettivo di fare una sola grande città uguale per tutti. Niente più banlieue con il sogno di «coniugare umanesimo, sviluppo sostenibile e crescita economica».

Ma non è tutto, su Italia Oggi si annuncia l’arrivo di una “ripresa tinta di verde” con le aziende che – udite udite – chiedono regole, nello specifico quelle relative ai filtri antiparticolato («il vero problema è quello dei controlli: ci vuole un sistema che imponga il rispetto delle leggi») settore questo piuttosto importante nell’ottica delle tecnologie verdi e della mobilità sostenibile.

E’ poco, è tanto? Basti dire che alcuni anni fa non era proprio. Nel senso che non era questione di cui dibattere, mentre oggi lo è (pensiamo anche alla pubblicità delle tv e dei giornali e a quali messaggi sta lanciando negli ultimi tempi pur con tutte le sue enormi contraddizioni). Il protocollo di Kyoto era qualcosa di cui parlare solo e poco alle scadenze e per i più era una sostanziale rottura di scatole. In alcuni ambienti, certamente, il tema della sostenibilità era stramaturo, però è un fatto che non sfondava.
L’ambientalismo era visto e a volte praticato sempre e soltanto quello della difesa dell’esistente e si faceva grande fatica a capire come andare avanti.

Ora la sostenibilità sta germogliando, anche se a fatica, e per questo, come nel nostro stile, alziamo l’asticella. Prendendo spunto dal pezzo di Isabella Bossi Fedrigotti, giornalista e nota scrittrice italiana, che oggi sul Corriere della Sera parla dei «Nostri figli senza maestri». Un tema di importanza capitale alla luce anche dei recenti tragici fatti di cronaca dei quali, lei sostiene (non a torto), «dopo un momentaneo commento incredulo e sbigottito, si tende invece, a tacere». Ma che cosa sta loro succedendo?

«E’ certo – dice – che sono infelici, lo gridano dietro i loro indecifrabili silenzi, che non sempre riflettono soltanto il comodo, rilassante oppure stanco silenzio degli adulti. E’ un’infelicità chiusa e senza desideri, perché (…) non può esserci desiderio dove non c’è speranza».

Niente speranza, niente ideali. «Speranze – prosegue - condivise, che una volta riguardavano la politica per esempio, oppure la religione o la cultura e che adesso, mediamente, s’innalzano fino ai successi della squadra di calcio del cuore o al sogno di finire in tv oppure alla conquista di un certo tipo di abbigliamento firmato e uniforme».

«Poveri ragazzi – si legge dopo - è questo il piatto che abbiamo preparato loro, gli esempi che abbiamo fornito, i modelli che abbiamo fabbricato». Un quadro veritiero della situazione dei giovanissimi di oggi, anche se la logica dello si stava meglio quando si stava peggio oppure del “quand’ero giovane io”, francamente non aiuta e non ci piace affatto. Andy Warhol e Pierpaolo Pasolini già avevano capito come sarebbero andate a finire le cose.

Quando dalla sua Factory spiegò che una lattina di una nota multinazionale era arte (Pop) e rappresentava persino la democrazia sociale e poi che tutti avrebbero avuto tre minuti di celebrità erano gli anni 70 e significa che qualcosa e più di qualcosa e qualcuno e più di qualcuno spingevano o erano spinti verso qualcosa. Facile definirlo il consumismo, anche fisico e delle persone e dell’ambiente. E’ stata una fase che ora, secondo noi, sta mostrando ampiamente le corde. Nonostante viva probabilmente il momento più alto e più vistoso di quello che Warhol pensava (altro che tre minuti di celebrità con internet!).

Si può quindi e si deve ripartire con nuovi orizzonti anche e soprattutto per i nostri figli, ripensando a quelle che Edgar Morin (Terra patria) già diversi anni fa aveva indicato come nuove ‘finalità terrestri’. La pratica della sostenibilità sociale e ambientale può essere una di queste finalità.

La sostenibilità può già essere letteratura, può già essere cultura, può già essere programma di governo, può già essere quindi un ideale. Può essere quella ‘materia’ fondamentale per far credere di nuovo i maestri al loro magistero. Noi la riteniamo qualcosa di più, la riteniamo non una strada non un orizzonte, ma la strada e l’orizzonte, forse però questo concetto ancora non è maturo.

I cambiamenti climatici ci stanno facendo però ripetizioni piuttosto serrate e così il problema energetico mondiale. Ripensare il sistema economico mondiale piegandolo sulla sostenibilità ambientale e sociale sia dall’alto (politica), sia dal basso (comportamento individuale che è comunque politica) riappropriandoci degli spazi esterni, della discussione, del dibattito dello stare insieme anche con chi è diverso da te e la pensa diversamente da te, non è un bell’ideale in cui credere? Noi, senza retorica e senza dogmi, pensiamo di sì.

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