[04/05/2009] Parchi

Quale futuro per i parchi italiani? (4)

PISA. La tentazione di riportare la gestione dei parchi in sedi ritenute più affidabili e comunque meno turbolente di quelle istituzionali e politiche è sbagliata. E lo è innanzitutto in questo momento in cui come giustamente afferma anche il recente documento ministeriale per il G.8 di Siracusa nessuna politica di tutela è ‘sostenibile’ se separata dall’economia come in qualche misura avviene anche con i due piani previsti dalla legge 394 i quali hanno probabilmente contribuito a far pensare che prima viene l’ambiente e poi –cioè solo dopo- l’economia. Questa ‘separazione’ probabilmente era alla base anche di quella preferenza riservata ai territori di proprietà pubblica nella perimetrazione dei nuovi parchi.

Questa concezione in qualche misura accreditata anche dalla legge quadro va rapidamente superata e corretta. Non certo però nel senso di separare il più possibile i parchi dalle turbolenze politico-istituzionali trovandogli una collocazione appunto più tranquilla che altro non vorrebbe dire ‘fuori’ dai circuiti in cui si esercita nel bene e nel male il governo del territorio oggi più di ieri. Così avremmo forse un parco più quieto ma sicuramente anche più ‘innocuo’. D’altronde se persino taluni territori dei parchi erano stati ritenuti disponibili e agibili per politiche di assurda e rovinosa cementificazione è chiaro che la ‘specialità’ dei parchi ossia il suo marchio di fabbrica è andato e sta andando a farsi benedire e non solo a Roma visto che anche in molte regioni questo ruolo è di fatto messo in discussione e confinato in posizioni subalterne quando si parla di programmazione regionale e della filiera istituzionale ricondotta unicamente ai tre livelli tradizionali ignorando appunto quella ‘sovraordinazione’ della pianificazione dei parchi come dei bacini.

Non può perciò neppure sorprendere che si sia potuto ipotizzare in sede governativa ancorchè per ‘sbaglio’ l’abrogazione dei parchi, ipotesi ripresa anche – e non per sbaglio ma sbagliando-in sede Upi dove evidentemente la disperata ricerca di un ruolo dell’ente intermedio può far prendere delle cantonate.
A queste considerazioni ne vanno aggiunte però altre finora poco presenti nel dibattito e che attengono non tanto ai profili istituzionali ma ai contenuti di quella pianificazione resasi ormai latitante da tempo nel nostro paese. Alla base infatti di leggi quali la 394 ma anche quella dei bacini ed altre non vi è solo e per qualche aspetto neppure principalmente un ‘riordino’ istituzionale ma soprattutto la ridefinizione di materie alla luce di nuove concezioni e discipline scientifiche e culturali. Bacini idrografici non significano più solo idraulica, dighe etc e paesaggio non più solo estetica tanto è vero che sarà il piano del parco a farsene carico unitamente alla natura in maniera sicuramente più esplicita di quanto stabilisce l’art 9 della Costituzione che infatti si era cercato di ‘adeguare’ a queste novità. Le nuove ripartizione istituzionali poggiano su contenuti ‘nuovi’ perché nuove sono le concezioni di tutta una serie di discipline scientifiche che consigliano e richiedono sempre maggiori intrecci, connessioni tra di loro e con il ‘governo’, l’amministrazione. Il che vale sebbene con diverse implicazioni anche per i movimenti e l’associazionismo. D’altronde la Carta della Natura come il piano della biodiversità a questo dovevano servire; offrire uno spaccato al passo con i tempi di cui invece non ha tenuto conto il nuovo codice dei beni culturali quando è tornato a separare nei piani dei parchi natura e paesaggio per ricondurlo a sedi esterne. E qui sorprende la scarsissima reazione sia del governo, del parlamento ed anche di quelle regioni che da decenni hanno sperimentato cosa significa, ad esempio, che a dare il nullaosta. siano i parchi e non i comuni o le sopraintendenze. Un conto infatti è darlo in base ad una visione d’insieme spesso dovuta al piano del parco e un conto è darlo in base ad una visione e competenza inevitabilmente più ristretta e ‘settoriale’. Possibile non si colga la differenza e soprattutto la gravità di una norma del codice che sconquassa un aspetto fondamentale della legge quadro?
Quante volte si è gridato al lupo al lupo per la 394 poi il lupo arriva e pochi battono ciglio. Qui prima ancora che una caduta politico-istituzionale vi è una caduta culturale perche la questione principale non attiene tanto alla competenza perché lo stato questa l’aveva già e gli resta. Il danno riguarda come la si gestisce e con quali finalità.

(Continua - 4)

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