[14/05/2009] Comunicati

Le geografie del nuovo made in Italy secondo Symbola

LIVORNO. La fotografia che emerge dell’industria italiana fatta nella ricerca sul made in Italy dalle fondazioni Symbola e Edison e presentata in occasione della fiera campionaria di Milano, disegna un settore meno debole di quanto non appaia dai dati di fatturato, che indicano per l’anno in corso una caduta (-12%) tra le peggiori registrate dal dopoguerra. O almeno, ciò che emerge è che quanto è stato fatto sino all’incombere della crisi potrebbe essere un patrimonio da sfruttare per uscirne rafforzati e per puntare ancora di più di quanto non sia stato fatto sino ad ora nella direzione della green economy.

E rispecchia quanto indicano altri rapporti, da quello della Goldman Sachs, intitolato “L’Italia va meglio di quanto si creda”, alla classifica sull’indice di competitività elaborato da Onu e Wto (Tpi – Trade performance index) dove il nostro Paese non se la passa tanto peggio rispetto al resto d’Europa.

Secondo Goldman Sachs è tra i paesi meno indebitati, ha imprese private dai bilanci solidi e un sistema bancario in grado di resistere meglio di altri alle ripercussioni finanziarie negative. E il Tpi colloca il nostro Paese al secondo posto, dietro la Germania, nella classifica dei dieci paesi più competitivi nel commercio mondiale. Primo nel tessile, nell’ abbigliamento e nel cuoio, pelletteria e calzature e primo in Europa nella graduatoria dei prodotti Dop e Igp. Secondo nella meccanica non elettronica, in quella elettrica e negli elettrodomestici, nella chimica, nei prodotti manufatti di base (prodotti in metallo, marmi, piastrelle in ceramica), nell’occhialeria, nell’oreficeria e nei prodotti miscellanei. Terzo negli alimentari trasformati (vino, olio, pasta, conserve, prodotti da forno, carni lavorate).

Con un terzo delle imprese e un quarto della superficie coltivata siamo il leader europeo nell’agricoltura biologica e quinti a livello mondiale dietro ad Australia, Cina, Argentina e Stati Uniti. Buoni risultati anche nel settore turistico e soprattutto negli ultimi anni nel panorama delle industrie culturali, con un fiorire di festival tematici legati ai territori, con oltre1200 manifestazioni.

Ma quello che emerge è che l’Italia è un paese in cui il settore manifatturiero è ancora una leva fortemente trainante per l’economia: nel 2007 il valore aggiunto generato direttamente da questo comparto (senza considerare il ritorno in termini di indotto sugli altri settori dell’economia) è stato di 252 miliardi di euro, dietro la Germania (520 miliardi) ma avanti alla Gran Bretagna (230
miliardi) e alla Francia (207 miliardi). Il surplus commerciale con l’estero nei prodotti manufatti non alimentari è stato nel 2008 di 64 miliardi di euro e negli ultimi 7 anni l’economia italiana ha accresciuto in misura significativa il suo surplus commerciale con l’estero nel comparto della meccanica e dei mezzi di trasporto che nel 2008 ha presentato un attivo di 37,4 miliardi di euro, a fronte di un indebolimento di altri paesi europei come Francia, Spagna e Gran Bretagna.

Andamento analogo lo si è registrato anche nel comparto degli altri prodotti manufatti, che includono, tra gli altri, tessile, calzature, mobili, dove nonostante la crescente concorrenza cinese sui beni a più basso valore aggiunto, l’Italia ha mantenuto negli ultimi anni, anche in questo caso unico tra i paesi europei, un rilevante surplus commerciale, pari nel 2008 a 37,2 miliardi
di euro. Tra i manufatti non alimentari l’Italia mostra un deficit commerciale soltanto nella chimica pari a circa miliardi di euro, mentre ha sviluppato nel comparto meccanico importanti
settori di nicchia per tecnologia e qualità dei prodotti, dagli yacth di lusso alle navi da crociera, dalle auto Ferrari agli elicotteri, dalle macchine industriali specializzate alle apparecchiature meccaniche per uso generale quali valvole, rubinetti, pompe; dagli elettrodomestici ai prodotti in metallo quali casalinghi, maniglie, ferramenta, bulloneria, sino ai più disparati articoli in gomma e materie plastiche.

Risultati ottenuti in particolare in seno ad un tessuto industriale fatto di una miriade di piccole e medie imprese (sono circa 514.000 le imprese manifatturiere secondo i dati Eurostat relativi al
2006) a fronte di pochi grandi gruppi industriali, ma soprattutto grazie all’aggregato di oltre 4900 imprese medio grandi nel settore manifatturiero, che si colloca a metà tra la grande e la piccolissima industria e che l’Ufficio studi di Mediobanca ha definito con l’espressione ´quarto capitalismo´, ovvero l’ultima generazione di imprese guida del Paese, dopo le grandi famiglie (primo capitalismo) il capitalismo di stato (secondo) e le piccole imprese (terzo).

Il rapporto, che analizza nel dettaglio l’intero tessuto industriale con tutte le sue innervature, conclude che nonostante le classifiche spesso poco lusinghiere, nel nostro Paese non mancano all’interno di questa composita struttura creatività ed inventiva, e che le nostre aziende sono già, grazie anche al posizionamento nel campo dell’innovazione e della qualità in vari comparti produttivi, nel cuore della green economy. Ciò che risulta ancora insufficiente è la capacità di trasformare le idee in impresa, una condizione che viene ritenuta essenziale affinché l’innovazione si traduca in uno sviluppo economico da cui tutti possano trarre benefici.

Ma se l’obiettivo, assolutamente condivisibile, è quello di superare la crisi sviluppando una economia ecologica, potremo aggiungere che quello che è deficitario, è una politica industriale che abbia ben chiaro l’obiettivo che l’economia è subordinata alle risorse naturali e che solo rovesciando quello che è invece il paradigma dell’attuale modello, che vuole quel rapporto invertito, si potrà cominciare davvero a costruire un futuro per l’economia e per il pianeta.

Torna all'archivio