[18/05/2009] Energia

India: la vittoria del Partito del Congresso inciampa nell’ostacolo nucleare

LIVORNO. La sconfitta ad opera della United progressive alliance, guidata dal Congress party di Sonia Ghandi, della National democratic alliance Bharatiya Janata party (Bjp), che a dire il vero di democratico aveva ben poco, visto che era un’accozzaglia di nazional-fascista indù, è certamente una buona notizia, ma i problemi dell’India restano enormi e sembrano sempre più legati al modello di crescita garantito proprio dal Partito del Congresso, che ha fatto aumentare una dinamica e consumistica classe media ma anche aumentare il divario tra i poveri (che sono ancora la stragrande maggioranza) e i ricchi e che rende ogni giorno più evidenti i suoi costi ambientali e sociali.

Non a caso il Congress party avrà bisogno per formare un governo dei sui ex alleati del Third Front, formato dai Bahujan samaj party, il partito dei Dalit (gli intoccabili), dai partiti comunisti e da piccole formazioni regionali di sinistra.

E non è nemmeno un un caso se ieri, presentando le sue dimissioni in attesa di un sicuro reincarico, il primo ministro indiano Manmohan Singh, con il convinto appoggio di Sonia Gandhi, ha lanciato un appello agli ex alleati: «Invito tutti i partiti politici a sostenere il governo laico. Dobbiamo dimostrare la nostra unità. Chiedo a tutti i partiti politici di dimenticare le loro dispute passate e di contribuire alla formazione di un governo laico. Dobbiamo assicurare l’unità del Paese».

Governo laico è la formula per dire governo senza gli integralisti nazional-religiosi del Bjp e le loro milizie che si sono macchiate del sangue di musulmani, cristiani e popoli tribali e spesso (non da soli e magari con il partito del Congresso e i Comunisti) sono stati utilizzati per reprimere le rivolte rurali contro dighe, miniere e grandi fabbriche.

Non a caso tra gli sconfitti di queste gigantesche e interminabili elezioni ci sono da annoverare anche due tra le principali multinazionali indiane, Tata e Reliance Industries, che non hanno nascosto il loro appoggio al capo del Bjp, Narenda Modi, mandante del massacro e dei pogrom contro i musulmani nel Gujarat, lo Stato indiano che governa da tre mandati.

Ma le difficoltà per un’alleanza anti-integralista non mancano: il terzo fronte ha rotto col Congresso sull’accordo nucleare tra India e Stati Uniti e, mentre Singh chiama all’unità perché i suoi 260 seggi sono tanti ma non gli danno la maggioranza necessaria, il Partito Comunista indiano marxista (Cpi-M) accusa gli Usa di intervenire negli affari interni dell’India incontrando dirigenti politici prima della formazione del nuovo governo.

L’incaricato d’affari Usa in India, Peter Burleigh, il giorno prima che venissero resi noti i risultati elettorali che tutti ormai conoscevano, visto che le operazioni di voto sono durate un mese, ha incontrato il candidato premier del Bjp, L. K Advany, e numerosi esponenti di altri partiti.

Secondo Sitaram Yechury, un importante esponente dell’ufficio politico del Cpi-M, l’intento dell’America di tener fuori la sinistra dai giochi è chiaro: «Il suo carattere imperialista si è rivelato ancora una volta attraverso il suo intervento spudorato negli affari di un Paese indipendente».

L’ambasciata Usa respinge ogni accusa e sottolinea che «Nessun senso politico deve essere dato ai colloqui (sic!). Gli Stati Uniti smentiscono categoricamente ogni tentativo di intervento nei processo politico democratico indiano».

Il partito di Sonia Ghandi si trova quindi con una vittoria schiacciante, che è anche il frutto della crescita dovuta all’audizione del modello occidentale dopo anni di “socialismo” e non allineamento, ma con la necessità di stringere un’alleanza con il Terzo fronte, di cui il Cpi-M è una parte influente e molto importante, che ha il 20% dei seggi nel Parlamento di New Delhi.

Il Cpi-M appoggia le politiche ambientali del governo del Congresso (anche perché non sembra averne di proprie) ma si oppone fortemente all’accordo indo-americano sul nucleare civile e chiede di annullare anche ogni accordo di difesa con Washington se arriverà al governo. Tra i 272 seggi necessari per avere la maggioranza al Lok Sabha e l’accordo con la sinistra c’è il nucleare Usa, i comunisti lo sanno e, da buoni indiani nazionalisti, non chiedono certo di rinunziare né alle centrali né alle bombe atomiche, ma solo di continuare a farsele in proprio o con l’aiuto di russi e cinesi.

Torna all'archivio