[25/05/2009] Urbanistica

Brutture urbane e sostenibilità

FIRENZE. Nell’arco di una ventina d’anni, anche in città medio piccole come Firenze, Livorno o Pisa, ecc. è avvenuto lo strappo fra cittadini e luoghi, fra cittadini e politica. La ricucitura di questo strappo non è al centro della campagna elettorale. Anche perché la ricucitura non può che essere la partecipazione attiva e quindi la conoscenza del proprio ambiente di vita, dello spazio dello sviluppo delle relazioni sociali e quindi politiche. Questo è il prerequisito per il dispiegarsi di un equilibrato sviluppo sociale e poi di una economia ecologicamente sostenibile (bioeconomia?). La base fondamentale è il lavoro, inteso come conoscenza/crescente e saper fare/capacità.

Ma la competizione tra candidati “neopodestà”, in lotta tra loro, per puro potere, talvolta con “strane” aggregazioni politiche (o fantapolitiche?), non consente la focalizzazione dei nodi veri tra giustizia sociale ed equità economica in un clima di confronto democratico vero e libero. Ciò vale ancor più quando le città si proiettano in una dimensione metropolitana che attraversa come una sorta di “T” sdraiata la Toscana.

Nel passato, sempre presente del nostro paesaggio urbano e ambientale, il fare e il progettare erano la formazione stessa dei “luoghi”, il modo, dal Rinascimento in poi, di interpretare i territori. Così il “territorio-luogo” si distingueva dalla banalità per la ricchezza di relazioni della società con l’ambiente fisico, da una parte, e fra i soggetti sociali, dall’altra. Come recuperare tutto questo? Ora che la densità/informità urbana non costituisce occasione di relazioni, ma di confusione, insicurezza, anonimato e degrado.

L’obiettivo della sostenibilità, enunciato come possibile e necessario per le nostre città, esige che la densità sociale sia condizione per scambio, ricchezza di opportunità, sviluppo di interazioni. Dobbiamo interrogarci, dovrebbero farlo anche i futuri “podestà”, ad esempio, sul modo in cui rotola l’espansione di Firenze nella direttrice nord-ovest, Novoli prima e Castello poi. Un trasferimento di funzioni passivo, la creazione di nuovi spazi urbani senza identità e a basso contenuto di coesione sociale. Oppure soffermarci ad osservare la separatezza autoreferenziale dell’area universitaria di Sesto Fiorentino. O la “follia” dal punto di vista urbanistico ed energetico, della trasformazione del quartiere “San Donato” a Novoli. O la strumentalità politica di chi è contro la tranvia.

Si tratta, a voler essere moderati per forza, di interventi sganciati da una visione d’insieme della riqualificazione urbana e di interventi che il Piano Strutturale di Firenze, non approvato, non integra. Mettere ordine non significa però semplificare, tanto meno penalizzare questo o quel settore della vita della società o dell’economia. Ma riorganizzare il caos ha dei costi, mettere ordine implica sempre nuove energie disponibili per una idea di trasformazione equilibrata imperniata su conoscenza e scienza, arte e cultura, formazione e diffusione delle tecnologie.

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