[26/05/2009] Comunicati

Le multinazionali hanno la vista lunga e sono in prima fila verso il Kyoto2

LIVORNO. L’appello del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, lanciato ieri ai capi delle imprese partecipanti al World business summit on climate change di Copenhagen sembra essere stato raccolto. O almeno in parte. Dal fronte delle aziende multinazionali infatti le posizioni non appaiono omogenee. E a fianco di grandi compagnie che per voce dei loro dirigenti chiedono che a dicembre venga raggiunto un impegno forte per la lotta ai cambiamenti climatici, con regole certe e uguali per tutti - condizione definita necessaria per garantire stabilità e chiarezza così da poter fare investimenti a lungo termine- ci sono ancora voci dissonanti di chi avverte che le misure per contrastare le emissioni, oltretutto in un momento di crisi economica, potrebbero avere effetti catastrofici sulla ripresa.

In particolare a frenare sarebbe – secondo il Wall street journal - la Camera di commercio degli Stati Uniti, già fortemente critica nei confronti della proposta di legge del presidente Obama (detta Waxman-Markey) che in pratica riscrive l´intero scenario normativo introducendo limiti all´emissione di gas serra, politiche e obiettivi per rinnovabili, efficienza energetica, infrastrutture energetiche.

Dalla posizione della Camera di commercio americana si sono però dissociate imprese quali Nike e Johnson & Johnson ed altre come Pepsi e Unilever (presenti al World business summit) hanno aderito al Copenhagen call, un documento in cui si chiede ai governi di intervenire con regole chiare e cogenti per frenare il global warming e hanno anche annunciato proposte di interventi di riduzione sulle stesse loro aziende.

Da parte sua anche il settore del trasporto aereo internazionale aderisce alle richieste di una governance globale. «Il trasporto aereo è un’industria globale che vanta dei buoni risultati e si propone degli obiettivi ambiziosi rispetto al proprio rendimento ambientale. Per raggiungere questi obiettivi, però, abbiamo bisogno che i governi abbiano un approccio globale» ha detto Giovanni Bisignani, direttore generale e amministratore delegato della Iata nel suo intervento al World business summit on climate change.

La Iata chiede ai governi di definire un approccio settoriale nel Kyoto 2 con uno sguardo globale sulle emissioni prodotte dall’aviazione attraverso l’Icao (l’Organizzazione dell’aviazione civile internazionale) e il libero accesso delle compagnie aeree ai mercati delle quote CO2 regolamentati correttamente. Un approccio che manterrebbe condizioni di parità per tutte le compagnie aeree e si sostituirebbe a schemi regionali e nazionali sovrapposti e che è basato su tre ambiziosi obiettivi del settore: miglioramento del 25% nell’efficienza del carburante entro il 2020 rispetto al 2005; uso del 10% di carburanti alternativi entro il 2017 e riduzione assoluta del 50% delle emissioni entro il 2050. «Stiamo già lavorando per porci un importante quarto obiettivo- ha detto Bisignani- giungere al punto, nella crescita carbon-neutral, oltre il quale le nostre emissioni non cresceranno neanche se se la domanda aumentasse».

Quindi fosse solo per operazioni di greenwashing, una parte dei top manager delle aziende mondiali sarebbe disponibile a «gettare le basi per una crescita a lungo termine e bassa intensità di carbonio» come si legge nel documento siglato a Copenhagen. Un appello che i governi -si auspica- vorranno ascoltare, per prendere misure efficaci e cogenti, senza indulgere magari in quelle che sarebbero più gradite alle imprese perché offrirebbero loro la possibilità di business senza apportare reali benefici alla lotta ai cambiamenti climatici.

Quando si parla di energia a bassa intensità di carbonio si include infatti anche il nucleare, o il cosiddetto carbone pulito (quello cioè accompagnato dalla cattura e stoccaggio della Co02), e si dimentica troppo spesso che la strada dovrebbe invece essere quella dell’efficienza e delle energie rinnovabili, che offrirebbe anche il vantaggio di generare nuova occupazione.

Lo ricorda anche il rapporto Green jobs and the Clean energy economy, presentato al World business summit dal Copenhagen climate council in cui si evidenzia che una combinazione di scenari politici che stimolano investimenti nelle energie rinnovabili ed in efficienza energetica, siano in grado di generare da 2 a 8 volte più posti di lavoro per unità di energia fornita rispetto ai settori a base di combustibili fossili.

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