[01/06/2009] Comunicati

Toscana al voto tra democrazia e parteciazione...

FIRENZE. Anche in Toscana la campagna elettorale appare, da una parte, svolgersi nel disinteresse, dall’altra, inadeguata a far fronte alla complessità e al magma della domande provenienti dalle società locali. Non si dà alcun progetto socio/politico credibile. Estensione dei diritti, etica dell’equità, qualità dei servizi, nuove forme di democrazia, sono esigenze minoritarie. Eppure è opinione diffusa la mancanza di certezze, di futuro, ma si nega alla possibilità/esigenza di “ricostruzione” del territorio, di comunità e senso dei luoghi.

Anche nelle minoranze attive prevale la preferenza per la governance piuttosto che per il governo e i suoi obiettivi (per cosa e per chi) come se essa non esigesse un ruolo totalmente nuovo della P.A. e fosse solo ricerca, o peggio, manipolazione del consenso. Infatti, mai come in questi ultimi anni la partecipazione, fondamento di una moderna concezione del government e della governance, è continuamente citata, almeno come dichiarazione d’intenti e di normative, però farraginose, pletoriche e ripetitive.

Ma, quasi sempre, questa confusa idea della partecipazione non serve a costruire decisioni condivise ed è agita come strumento di costruzione del consenso a decisioni già prese. E’, inoltre, esperienza diffusa che la partecipazione è ostacolata dalla burocraticità dei processi decisionali che restano così nelle mani di pochi.

Si tratta di veri ostacoli al cambiamento – organizzativi, ma anche culturali – che derivano, da una parte, dalla burocrazia e dal formalismo di funzionari, ancorati alle procedure amministrative, poco attenti ai destinatari dei servizi e poco propensi a ragionare per progetti e, dall’altra, e soprattutto, da un’idea politica della rappresentanza che non si misura sui contenuti e con gli interessi dei rappresentati ma a questi chiede, e ottiene, una delega per la quale l’unica cosa che conta è che non si dica la verità su cosa si farà e come. Un politico che debba essere eletto si guarderà bene, per esempio, di dire quanti e quali risorse (fiscali ma non solo) intende prelevare e gestire, proprio per la paura di non esserlo (eletto), dal momento che a nessuno piace contribuire di tasca propria a progetti, opere, redistribuzione più equa dei servizi e delle risorse, se l’amministrare non è concepito prioritariamente come opera educativa e condivisione dei bisogni e delle necessità di un territorio e di una società locale dal punto di vista sociale, ambientale ed economico. In altri termini, occorrerebbe che il modo di decidere e la cultura di chi decide fosse fondata su una visione strategica, attenzione al territorio, mediazione tra interesse generale e interessi particolari, trasparenza.

Il modello decisionale prevalente è invece autoritario, centralistico e tecnocratico, caratterizzato dall’inseguimento passivo degli interessi forti sul territorio; come rivela il frangente storico nazionale. Ma votare bisogna, troppo è costata in sacrifici la conquista del voto per regalarla al demagogo di turno.

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