[04/06/2009] Comunicati

La Cina a 20 anni da Tienanmen

LIVORNO. Ha probabilmente ragione Loretta Napoleoni che su Internazionale scrive che oggi «nessuno poserà un fiore al centro della piazza Tinanmen in ricordo dei morti del 1989», e fiori se ne vedono pochi anche in giro, anche virtuali ed anche sui media occidentali che venti anni fa sperarono in un crollo del comunismo cinese sullo stile di quello che portò alla fine dell’Urss e all’abbattimento del muro di Berlino.

Allora si capì ben poco della rivolta di Tienanmen, leggendola con sul naso gli occhiali ideologici dell’occidente e dei due blocchi che ancora si confrontavano mentre uno si stava sgretolando. Si calcò mano e penne sugli aspetti naif della vicenda, senza capire che quei coraggiosi ragazzi cinesi non chiedevano più capitalismo (che infatti sarebbe arrivato in dosi massicce) ma più democrazia, partecipazione, riforme sociali.
La tragedia di Tienanmen che molti videro come una crepa nel comunismo asiatico ha invece rafforzato il regime di Pechino, lo ha costretto ad accelerare quella virata autoritaria e turbo-capitalista che quegli studenti e quegli operai massacrati e fatti sparire volevano impedire.

Quella svolta autoritaria ed allo stesso tempo liberista è diventata un esempio da seguire per altri regimi a partito unico comunista come il Vietnam ed ispira i militari golpisti del Myanmar così come altre dittature di altro segno che hanno scelto la strada cinese della carota consumista e del bastone contro i dissidenti politici. A chi chiedeva giustizia e libertà Deng Xiaoping ha risposto arricchitevi, chi chiedeva democrazia è stato manganellato mentre il partito comunista dava l’avvio al boom capitalista che ne ha conservato intatto e rafforzato il potere, trasformando la Cina nella chiave di volta dell’economia globalizzata.

L’imposizione della legge marziale, l’ordine di trucidare i manifestanti hanno ucciso la richiesta di riforme politiche e dato il via ad una riforma economica che il mondo ha osservato prima scettico e poi sbalordito, che ha prodotto cambiamenti mai visti e reso più saldo, e sostenuto da un vasto consenso, un regime che ormai può permettersi di schiacciare minoranze come quella tibetana ed uigura sapendo che nelle cancellerie dell’amichevolissimo occidente non si alzerà più nemmeno qualche democratico sopracciglio.

L’esperimento olimpico ha dimostrato in pieno l’intangibilità cinese: il mondo dà per scontato che la dittatura sia la migliore medicina per continuare una crescita rallentata ma alla quale ormai si aggrappa terrorizzato tutto il mondo “ricco” che cerca ad oriente la porta per uscire dalla crisi del turbo-capitalismo finanziario. La Cina è stata come lobotomizzata dalla brutale operazione chirurgica di piazza Tienanmen e l’occidente ha subito cancellato gli schizzi di sangue per partecipare ad un banchetto che in cambio dell’obbedienza al regime ha fatto crescere il livello di vita di moltissimi, se proprio non di tutti, i cinesi. Un modello di crescita spinta e “anarchica”, ma ferramente controllata dal partito comunista, una crescita che ha sconvolto l’ambiente, ha mutato rapporti sociali, ha fatto salire la corruzione alle stelle ed ha aperto prima il Paese di Mao alle multinazionali e poi il mondo alle sempre più aggressive imprese cinesi.

Il sistema dittatoriale è sopravvissuto cambiando tutto meno sé stesso, ergendosi a garante della stabilità, a riparatore dei danni ambientali, a riduttore dell’inquinamento che ha deliberatamente provocato con una crescita senza freni. Il partito diventa così veleno e medicina, l’antidoto necessario contro il caos e i nemici esterni, e l’internazionalismo proletario viene sostituito da un nazionalismo cinese e da un orgoglio etnico han sempre più evidenti. Ogni dissenso rischia di turbare la crescita armoniosa, anche nei tuguri dove si riciclano a mani nude i veleni della nuova economia.

Il partito dei contadini e degli operai è ora in giacca e cravatta e nelle inaccessibili stanze del potere si è trasformato da avanguardia del proletariato nel nuovo ordine imperiale che da Pechino decide i destini del più popoloso Paese del mondo e condiziona quelli dell’intero pianeta.

Non sappiamo cosa sarebbe stato della Cina se avessero vinto i ragazzi di Tienanmen, se il partito avesse accettato l’esotica sfida della democrazia, se non fosse risuonato da dietro le bandiere rosse lo slogan “arricchitevi” di Deng Xiaoping… ma continuiamo a pensare che il mondo sarebbe stato migliore.

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