[10/06/2009] Aria

Il Giappone taglierà del 14% le sue emissioni nel 2020, ma rispetto al 1990 è un misero 7%

LIVORNO. La agenzia di stampa Kyodo News ha reso noto che il primo ministro giapponese Taro Aso, potrebbe annunciare una riduzione delle emissioni di gas serra del 15% rispetto ai livelli del 2005, come obiettivo a medio termine per il 2020.

La decisione è attesa in chiusura dei Climate change talks in corso a Bonn, ma le misure del governo liberaldemocratico giapponese sembrano molto lontane dalla soglia massina del 25% prevista dalle 6 opzioni che gli esperti avevano messo sul tavolo di Aso e soprattutto da quanto richiesto dai cinesi e dai Paesi in via di sviluppo: una riduzione di almeno il 40%. Questo potrebbe mettere a rischio la promessa dell’Unione Europea di alzare fino al 30% il suo obiettivo se anche gli altri Paesio industrializzati avessero proposto soglie di riduzione abbastanza alte.

Lo sforzo giapponese sarebbe minimo, solo l’1% in più rispetto al precedente obiettivo di riduzione del 14% che equivale a una riduzione reale del 7% in rapporto ai livelli del 1990, 13 punti in meno di quanto previsto dal pacchetto clima energia 20-20-20 dell’Ue.

La situazione non è certo rosea: nonostante l’utilizzo massiccio di nucleare che viene contrabbandato come a “emissioni zero” e i nuovi programmi per la green economy, il Giappone è al quinto posto al mondo per emissioni climalteranti, con un aumento netto di gas serra nel 2005 rispetto al 1990.

Ieri Aso ha riunito i dirigenti dei sindacati giapponesi per ottenere la loro collaborazione su questo minimo obiettivo a medio termine per il 2020 e, probabilmente con sua grande sorpresa i sindacalisti delle industrie siderurgiche ed elettriche gli hanno chiesto di aumentare del 4% i tagli di gas serra rispetto ai livelli del 1990.

Il vero problema di Aso quindi non sono i lavoratori ma la Confindustria giapponese e lo stesso partito liberaldemocratico che temono la perdita di competitività di un’economia in stallo da anni con obiettivi davvero ambiziosi di riduzione dei gas serra.

Il segretario dell’Unfccc, Yvo de Boer, raggiunto ai climate talks in Bonn dalla Reuters, ha detto di essere impaziente di vedere se il Giappone aumenterà la quota di riduzione del 6% rispetto al 1990 per la quale si era già impegnato nel 1997 con il Protocollo di Kyoto.

«Il raggiungimento di tali obiettivi dovrebbe essere un punto di partenza, il metro di misura per risultati che vadano oltre» ha detto de Boer che di fronte ai tentennamenti giapponesi e alla violazione di tutti gli impegni presi dice ancora fiducioso: «Ritengo che i Paesi che si sono dati target di Kyoto giuridicamente vincolanti abbiano assunto con serietà questi obiettivi e con la ferma intenzione di conseguirli».

Il Giappone sconta la sua fedeltà liberista all’immobilismo di George W. Bush decisamente contrario all’attuazione del protocollo di Kyoto ed ora è spiazzato da Barack Obama che propone un taglio del 14% delle emissioni del partendo da zero rispetto a quanto già fatto dall’Ue e a quanto si era impegnato a fare Tokyo.

«La capacità del Giappone di ridurre le sue emissioni a costi simili è minore di quella della maggior parte dei Paesi industrializzati – ammette de Boer – Parte della sfida di Copenhagen è quella di rendere tale comparazione più sofisticata rispetto a quanto fatto a Kyoto per riflettere davvero i costi e le opportunità che i Paesi hanno di fronte».

Quello che era il Paese all’avanguardia dell’innovazione tecnologica si è trasformato in un’impaurita lumaca che rischia di rallentare ogni decisione alla Conferenza Unfccc sul clima che si terrà a Copenhagen a dicembre.

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