[11/06/2009] Comunicati

La visita di Gheddafi in Italia, tra petrolio e dimenticanze

LIVORNO. Per la Libia, già ex Stato canaglia, già ex Stato terrorista, già Stato radicale ed ex pericolo per il nostro Paese al tempo del lancio farsa dei missili verso Lampedusa, è un momento d’oro: Gheddafi è presidente di turno dell’Unione Africana, un suo uomo, Ali Abdessalam Treki, é stato appena nominato presidente dell’Assemblea generale dell’Onu e la Libia è addirittura presidente di turno del Consiglio di sicurezza al palazzo di vetro di New York.

Le accuse del passato sembrano cancellate, dimenticate dopo i sostanziosi risarcimenti alle vittime di attentati ed omicidi (non certo di quelli degli oppositori interni) ed il giuramento di fedeltà occidentale che è arrivato fino alla giustificazione della guerra in Iraq. Dimenticati anche gli assalti ai consolati italiani di soli pochi anni fa, quando il ministro Calderoli esibì una maglietta con vignette anti-islamiche: oggi a Gheddafi arrivano i complimenti di Bossi per la sua brutale applicazione dell’accordo con l’Italia sull’immigrazione.

Gheddafi ha piantato le sue tende beduine a Roma e si gode una rivincita storica sul “nemico” italiano, costretto a risarcire i danni e I massacri del colonialismo fascista, che il colonnello ci ricorda appuntandosi sul petto la foto (vedi) del “leone del deserto” Omar al Muktar, l’eroe nazionale fatto impiccare da Mussolini. In cambio di queste concessioni, che stanno facendo imbestialire sia la destra nostalgica che chi ha a cuore I diritti umani, il governo Berlusconi otterrà sostanziosi contratti petroliferi e gasieri, un nuovo accordo sulla pesca, che forse metterà fine alle scaramucce con i pescatori italiani, e realizzerà infrastrutture che però finanzieremo noi, soprattutto per ottenere dai libici il rispetto dell’impegno a non far più passare il popolo di disperati che si affolla sulle loro coste per la gioia dei trafficanti di esseri umani che il regime fa finta di non vedere.

Gheddafi è come sempre stato brutale nella definizione dei migranti, evidenziando un razzismo che è noto a tutti coloro che hanno dovuto subire prima il calvario della traversata del deserto libico e poi le brutalità e le violenze poliziesche di gente che considera i “neri” poco più di animali. Ieri a Villa Madama, con a fianco un imperturbabile e soddisfatto Silvio Berlusconi, il dittatore libico ha detto che bisogna stare molto attenti alle richieste di asili o politico: «La maggioranza viene fuori dalla foresta e dal deserto, non ha problemi politici. Il fatto che ci siano milioni di uomini che chiedono il diritto d´asilo fa ridere... Le reti internazionali che operano per l´immigrazione clandestina che è un fenomeno estremamente pericoloso e dobbiamo studiarlo, così come la droga e il terrorismo».

Si potrebbe dire il colonnello si che se ne intende, e magari andarsi a rileggere le dichiarazioni di forze di governo come la Lega Nord o la scomparsa AN cha solo pochi mesi fa accusavano Gheddafi di favorire l’immigrazione clandestina e la tratta di esseri umani.

Ma la situazione è ancora più complicata, pericolosa e, se si vuole, paradossale: praticamente con questa visita di Gheddafi si mette il suggello ad un accordo che prevede di appaltare alla Libia, cioè ad un regime dittatoriale capeggiato dal più longevo dittatore del pianeta dopo la scomparsa di Omar Bongo in questi giorni in Gabon, una parte della politica migratoria italiana. I libici, a quel che dice Gheddafi e che è stato confermato dai respingimenti indiscriminati dei migranti verso la Libia, dovrebbero anche valutare se chi chiede asilo politico ne ha davvero i requisiti.

Cioè una dittatura che non riconosce la democrazia come sistema valido di governo dovrebbe dare la “patente” di perseguitato a persone che in Libia sarebbero già in carcere…Ma c’è di più: gran parte dei migranti che si affollano sulle coste libiche vengono dai Paesi del Corno d’Africa, dal Ciad e dal Sudan, magari dal Darfur, fuggono da guerre, persecuzioni politiche, odi etnici, devastazioni ambientali, siccità e fame.

In questi Paesi la presenza libica è molto forte: spesso, come nel caso della dittatura eritrea o di quella sudanese, appoggia governi impresentabili e sanguinari con la scusa della solidarietà islamica, in altri Paesi, come la disperata e frantumata Somalia, Gheddafi cambia alleanze e cavallo a seconda della convenienza, ma non disdegna di finanziare signori della guerra e tagliagole vari.

In Ciad e Darfur addirittura i conflitti dipendono in gran parte dalla politica imperialista della Libia che per un certo tempo ha addirittura occupato militarmente e annesso la fascia nord del Ciad per impossessarsi delle sue risorse petrolifere e minerarie (e dell’acqua di falda) e poi, dopo la ricostituzione di un vero governo ciadiano che si è ripreso il territorio occupato, si è barcamenato tra l’appoggio ai regimi autoritari ed il foraggiamento dei guerriglieri.

Chi scappa da questi Paesi scappa quindi da dittature amiche di Gheddafi che non li può certamente considerare rifugiati politici, ma semmai suoi avversari da riconsegnare a persecutori e carnefici, esattamente come chiede di fare ai governi di cui è complice e sostenitore con i sui oppositori in esilio.

L’accordo con Gheddafi, questo scambio un po’ indecente tra la cattura di poveri cristi e perseguitati e commesse petrolifere e risarcimenti coloniali, ci rende anche noi un po’ più amici di quelle dittature e nemici dei loro oppositori, ma questa, purtroppo non è una novità.

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