[12/06/2009] Comunicati

Il G77 a Bonn: «No money, no climate change inspection»

LIVORNO. Oxfarm ha presentato ai Climate change Talks che si chiudono a Bonn un rapporto che sottolinea: «I Paesi ricchi hanno un doppio dovere». Secondo la Ong occorrono almeno 150 miliardi di dollari all’anno per finanziare le attività di adattamento e mitigazione necessarie per combattere davvero il cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo.

Jeremy Hobbs, direttore esecutivo di Oxfam International, non nasconde la sua preoccupazione: «La minaccia di stallo che viene da questi colloqui deve essere interrotta se vogliamo avere qualche speranza di evitare una catastrofe umanitaria. I Paesi ricchi ci hanno messo in questo pasticcio e non hanno i soldi e la tecnologia per uscirne. Questo assegna loro un doppio dovere: dare maggiori riduzioni di emissioni nazionali e fornire ai Paesi poveri I soldi necessary per avviare la lotta alle emissioni in eccesso».

L’India ed altri Paesi non sono disposti a subire i controlli internazionali sull’attuazione delle loro politiche nazionali per la riduzione dei gas serra fino a che i Paesi industrializzati non forniranno adeguati finanziamento e non permetteranno il trasferimento effettivo delle loro tecnologie verdi verso i Paesi in via di sviluppo.

A Bonn il pomo della discordia sono stati i diritti di proprietà intellettuale delle tecnologie verdi che rappresentano un costo spesso insostenibile per i più poveri, un argomento rimasto sotto traccia nelle varie tappe della road map di Bali, ma che è riemerso con forza nella ex capitale tedesca. Secondo l’India ogni Paese industrializzato deve pagare lo 0,8% del suo Pil come risarcimento ai Paesi in via di sviluppo per tutti i gas serra immessi in atmosfera dalla rivoluzione industriale ad oggi. Un obiettivo che sembra stratosferico se riportato per esempio all’Italia, accusata proprio in questi giorni di aver completamente disatteso tutte le solenni promesse di aiuto ai Paesi poveri fatte ai vari G8, a cominciare da quello di Genova.

La delegazione indiana ha proposto a Bonn l’istituzione di un Fondo globale per l’acquisto dei diritti di proprietà intellettuale delle tecnologie verdi, per poi ridistribuirla gratuitamente, così come avviene per i medicinali per l’Aids. Questo permetterebbe di garantire la proprietà intellettuale, i brevetti, a breve e medio termine ma anche di poter accedere alla green technology abbastanza velocemente.

E’ questo il vero nodo, tutto economico, dello stallo di Bonn: i Paesi industrializzati non sembrano in grado di trovare i finanziamenti necessari (che magari sono serviti a salvare banche, finanziarie e industrie decotte) in piena crisi economica, in più ribattono che i diritti di proprietà intellettuale sono privati e i governi non possono cederli.

In più i Paesi ricchi rilanciano chiedendo ai Paesi emergenti ormai diventati concorrenziali potenze economiche, soprattutto quelli più grandi come Cina, India, Brasile, Sud Africa e Messico, di ridurre subito i loro gas serra attraverso attività «misurabili, notificabili e verificabili», così come è scritto sul progetto di testo negoziale.

I Paesi in via di sviluppo richiamano i Paesi industrializzati a rispettare gli impegni vincolanti che si sono assunti all’interno della Convenzione Onu sul clima di consentire il trasferimento di tecnologia, sottolineando che i governi hanno evidentemente un grande ruolo in questo senso.

L’India ha capeggiato nelle roventi riunioni a porte chiuse una rivolta ben più ampia che è stata fatta propria dall’intero gruppo dei 77 (G77) e dalla Cina, che stanno facendo blocco comune nei negoziati climatici. Nelle sessioni pubbliche Bolivia, Filippine e Indonesia hanno chiesto a nome del G77 «l´esclusione dei brevetti su tali (verde), tecnologie»

Ad opporsi con forza alle richieste del G77 sono stati soprattutto Giappone, Canada, Australia, Svizzera ed Usa che si sarebbero detti contrari anche all’utilizzo delle compulsory licensing for patented technologies, che è consentito in base all’accordo dell’organizzazione mondiale del commercio (WTto) sul Trade-Related Intellectual Property Rights (Trip)

Secondo i Paesi sviluppati un forte regime di diritti di proprietà intellettuale è necessario per garantire l´innovazione e lo sviluppo tecnologico, il G77 ha ribattuto che allora si poteva di escludere dai brevetti quelli riguardanti le tecnologie legate al clima, vista la necessità di dare una risposta globale e sistemica per affrontare davvero gli impatti planetari dei cambiamenti climatici.

Ma Usa ed Australia hanno anche messo in dubbio la necessità di nuovi accordi istituzionali, proposti dal G77 e dalla Cina, per arrivare ad un technology mechanism internazionale per il migliorare lo sviluppo, la diffusione e il trasferimento delle nuove tecnologie.

Il rischio sempre più forte è quello dell’incancrenirsi delle posizioni che dal confronto stanno scivolando verso uno scontro nel quale ognuno resta barricato nel suo fortino economico, mentre il global warming sta continuando a fare in giro per il mondo il suo sporco lavoro in attesa delle tecnologia pulite dei ricchi che ognuno si vuole tenere come elemento di nuova competitività.

Più che sulla road map di Bali sembra di essere al ballo del Titanic.

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