[16/06/2009] Comunicati

La lezione delle urne europee: il riformismo è ecologista o non è (2)

ROMA. Gli obbiettivi Ue del 20-20-20 al 2020 costituiscono l’asse di una nuova politica economica, occupazionale e di innovazione tecnologica di incredibile impatto sociale e culturale, una difficilissima rivoluzione che richiede il massimo sforzo dei governi per coinvolgere amministrazione pubblica, istituzioni, lavoratori, imprese, cittadini. Berlusconi e il suo governo si muovono in senso opposto, dal rilancio del nucleare alle deroghe per il carbone alla truffa del 25% di fonti energetiche rinnovabili per coprire entro il 2020 i soli consumi elettrici, non quelli totali che sono invece il riferimento degli obiettivi europei. Penso che dobbiamo ripetere a tutti e in ogni sede che il governo sta programmando di “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, per usare la delicata espressione di Tremonti, anzi delle “manone”, perché quello sbandierato 25% è solo il 5% dei consumi totali, che lascia scoperto e a carico dei contribuenti tutto quel che mancherà al 17%, che è l’obiettivo vincolante fissato per l’Italia dalla UE. Come sarà a carico dei cittadini, come in tutti gli altri paesi “avanzati”, il finanziamento dei quattro reattori EPR dell’industria nucleare francese Areva, se mai l’avventura nucleare si concludesse con la effettiva costruzione delle centrali nucleari.

Esito che stiamo già combattendo da oltre un anno, in tutta Italia a partire dai vecchi siti proposti per le centrali atomiche. Da quando Scajola scagliò poco dopo le elezioni politiche del 2008 il grido di guerra del rilancio del nucleare, rilancio che avviene a scapito di uno sviluppo industriale autoctono dell’Italia sul terreno delle FER, ancora possibile, e in contrasto, come si è già manifestato, con le linee europee. Mentre grandi paesi, come gli Stati Uniti, la Germania e la stessa Cina, stanno puntando con decisione su un “new deal” verde come principale risposta alle crisi economica e ambientale.

Questo link globale energia/cambiamenti climatici, del quale va sottolineato, sempre e con molta forza, il carattere necessitante imposto dai drammatici sconvolgimenti climatici in atto, è andato negli ultimi anni ancor oltre le prospettive configurate dal mondo ambientalista, e parlo di quello, per intenderci, alieno dal cavalcar la tigre ambigua del comitatismo, che o non fa mai assumere come centrale quel link o rende incapaci del governo dei problemi verso l’esito più positivo.

La sottolineatura di questi aspetti è perché, questo è il punto fondamentale, guidare la “rivoluzione” verde è il principale compito per una forza politica, da costruire, che voglia essere forza autenticamente riformista del XXI secolo, con il coraggio e la radicalità che questo compito richiede in Italia.

In Italia il riformismo si trova ad avere in più una difficoltà storica che non hanno altri grandi paesi: la proclività italiana a farsi affascinare dal populismo, che è stato, certo con risvolti diversi, il dramma europeo del XX secolo, come lumeggiano alcune delle sue più significative figure, ormai storiche.

Una parte rilevante degli italiani sembra infatti sempre disponibile a quel fascino. Per un aspetto è il retaggio secolare di vari fattori: di quel particolarismo che è stato però anche gloria e vanto dei mestieri e delle arti, della frammentazione della morale nella precettistica fissata dalla Controriforma, della debolezza di valori e di partecipazione che ha caratterizzato il nostro Risorgimento cui solo in parte ovviò la Resistenza (e, perché no, almeno per la diffusione della lingua italiana, la TV di Bernabè negli anni ’60), dell’inesistenza di una rivoluzione borghese che proponesse una vera classe dirigente, un governo dell’economia e della società e desse modernità allo stato e ai suoi apparati. Per altra parte è l’estrema capacità che ha il populismo di modellarsi in ogni determinato periodo storico sulle pieghe della società.
In ultima analisi il populismo resta quale caratteristica dotata di particolare vischiosità nel panorama storico-politico dell’Italia contemporanea, vischiosità e quindi capacità di mutare forma e messaggio. Sarebbe stupido negare l’abilità politica di Berlusconi, eccezionale nel mettere insieme lo statalismo patriottardo dei figli di Almirante con i ruspanti soggetti della “fabbrichetta” che costituivano e ancora costituiscono l’anima della Lega. Come un collezionista bricoleur è riuscito comporre pezzi vecchi con pezzi nuovi in un opera che tiene, e tiene da quindici anni. Come indubbia è la capacità che ha di rimotivare i suoi, di andarli a raccogliere quasi uno per uno quando lo detta l’importanza politica che attribuisce all’evento.

Forse questo avviene anche in nome dei valori che sa proporre, ma qui la riflessione aiuta poco perché quei valori sono dei disvalori per la maggior parte, non sempre purtroppo, di chi lo avversa. Non c’è molto da imparare.

Il principale valore che Berlusconi trasmette, inevitabilmente sopratono, è l’inequivocabile riconoscimento del capo cui delegare il destino personale e collettivo. Insisto, questo è il valore fondante del populismo, perché in ogni epoca storica non c’è stato populismo senza che ci fosse un conducador.

Il valore religioso è bonariamente sussunto nel cosmopolitismo del grande supermarket dove tutto è in vendita, tutto è riconducibile a un unico valore, quello del consumo, che è anche l’unica dimensione proposta per l’uomo. Del resto non hanno i punti bancomat la configurazione di cappelle tramite le quali si può accedere alla frequentazione del dio?

continua

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