[23/06/2009] Comunicati

L´energia solare come bene comune per scongiurare il rischio di ecocolonialismo

ROMA. Sta nascendo in questi giorni in Germania un Consorzio costituito, secondo il quotidiano Sueddeutsche Zeitung, da venti grandi imprese – tra cui Munich Re, Siemens, Deutsche Bank, RWE, E.ON – che intende investire almeno 400 miliardi di euro per realizzare il progetto Desertec: coprire di specchi una superficie relativamente piccola del Sahara, trasformare l’energia solare captata in energia elettrica e trasportarla in Europa, per soddisfare il 15% della domanda del Vecchio Continente.

In realtà il progetto Desertec non riguarda solo l’Europa. Essa fornirà di energia elettrica da fonte solare molti paesi dell’Africa mediterranea e del Medio oriente. Non a caso il progetto si chiama Eumena-Desertec, ove il primo nome sta per Europa, Est del mediterraneo e Nord Africa.

Il progetto dunque, oltre le questioni tecniche non banali, è di notevole interesse e complessità per le sue implicazioni ecologiche e sociali. E di tutti questi aspetti si parlerà il prossimo 13 luglio in una conferenza tra il neonato consorzio e l’associazione tedesca dei Club di Roma.

Dal punto di vista della sostenibilità ambientale ci sono pochi dubbi: il progetto è valido. Perché si produce energia elettrica da una fonte rinnovabile e «carbon free»: il Sole del Sahara. Certo, si tratta di coprire di specchi una superficie complessiva di centinaia di chilometri quadrati, ma teniamo conto che basterebbe una superficie pari al 2% del Sahara per soddisfare la domanda di energia elettrica di tutto il mondo. Insomma, l’impatto ambientale della rete di impianti che verrà costruita può essere considerato largamente accettabile.

E da un punto di vista sociale? Molti sostengono che ci troviamo di fronte a una nuova forma di colonialismo. Un ecocolonialismo che al petrolio sostituisce il solare. Inutile negare che il rischio c’è. E che esso può essere sventato solo a tre condizioni: che a beneficiare della rete Desertec siano davvero l’Africa, come L’Europa e i Paesi del medio Oriente; che l’energia solare sia considerata un bene pubblico globale e non un bene appropriabile da parte del consorzio di aziende che la utilizzerà; che Europa, Africa e Medio Oriente partecipino in maniera paritaria all’impresa, non solo facendo accedere tutti gli abitanti di quest’area all’energia elettrica, ma anche distribuendo in modo equo i guadagni e, potremmo dire, soprattutto condividendo il know-how, dalle tecnologie fisiche a quelle d’impresa. Solo se Deserte sarà davvero Eumena diventerà un esempio di sviluppo sia ecologicamente sia socialmente sostenibile.

Resta, per noi italiani, una questione. Parteciperemo all’impresa? E come? O ne resteremo sostanzialmente tagliati fuori? Per ora siamo abbastanza ai margini. E non solo perché non vediamo aziende italiane in prima fila nel costituendo consorzio EUMENA. Ma anche e soprattutto perché vediamo la politica energetica del governo indirizzata verso strade molto diverse: il nucleare, da acquistare chiavi in mano in Francia. E il gas, lungo l’asse russo-libico. Sono due strade che portano più al passato che al futuro.

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