[23/06/2009] Comunicati

L’altra globalizzazione di Sarkozy

LIVORNO. Era dal 1875 che un Capo di Stato francese non parlava davanti al Congrès a Versailles e il presidente Nicolas Sarkozy ha dovuto far cambiare il regolamento per poterlo fare, va detto che il suo discorso sembra all’altezza dell’eccezionalità del fatto e di una lucidità sconosciuta alla destra nostrana. Sarkozy ha messo subito i piedi nel piatto, schivando ogni tentazione rassicuratrice ed ottimistica che tanto sembrano necessarie da noi: «La crisi non è finita. Non sappiamo quando terminerà. Dobbiamo far di tutto perché sia più rapida possibile. Nell’attesa, dobbiamo continuare a sostenere l’attività. Dobbiamo continuare a garantire la stabilità del nostro sistema bancario. Dobbiamo proteggere i nostri concittadini più fragili, quelli che soffrono di più. Dobbiamo fare di tutto per evitare che le vittime della crisi non diventino degli esclusi che non potremmo più in seguito reinserire nell’economia e nella società».

Per il capo del centrodestra francese «Niente sarà più come prima. Una crisi di tale ampiezza chiama sempre a una rimessa in causa profonda. Non possiamo assistere ad una catastrofe senza pari senza rimettere in causa le idee, i valori, le decisioni che hanno condotto ad un tale risultato. Obbligandoci a rimettere tutto sul piatto, sconvolgendo i dogmi e le certezze, la crisi ci rende più liberi di immaginare un altro futuro».

Da qui parte una dura critica a quella che i francesi chiamano “mondialisation”: «Dopo la fine della guerra fredda, la globalizzazione sembrava imporre a tutti l’idea che non ci fosse che una sola strada da seguire, un solo modello possibile, una sola logica. La crisi ha dimostrato che questa via era un impasse, ora siamo ormai costretti a trovarne altre. Qualche giorno fa ho detto alla tribuna dell’Organizzazione internazionale del lavoro: ci sono due tipi di globalizzazione. Quella che privilegia la crescita esterna, con ognuno che cerca in tutti i modi di prendere il lavoro ed il mercato degli altri. Quella che privilegia la crescita interna, vale a dire un modello di sviluppo nel quale ciascuno producendo di più e consumando di più contribuisce allo sviluppo di tutti. La prima spinge all’estremo la logica della competitività ed ogni costo, ricorrendo a tutte le forme di dumping, a politiche commerciali aggressive, alla compressione del potere di acquisto e del livello di vita. La seconda si basa sull’aumento della produttività, l’aumento del livello di vita, il miglioramento del benessere. La prima è conflittuale. La seconda è cooperativa. La prima oppone il progresso economico al progresso sociale. La seconda al contrario li lega l’uno all’altro. Tutto l’impegno oggi è di far passare la globalizzazione dalla prima logica alla seconda. La crisi sta contribuendo ad accelrare questa necessità di un mondo dove la domanda di giustizia, di regole e di protezione sarà più forte. Chi può credere che i popoli subiranno senza dir niente le conseguenze dolorose della crisi, che non reclameranno più protezione, più giustizia, che sopporteranno di nuovo, come se niente fosse successo, i paracaduti d’oro e i guadagni mirabolanti degli speculatori».

Il discorso di Sarkozy ha un difetto: non si intravvede nessuna autocritica vera per il ruolo che la destra francese ha giocato nella globalizzazione (e nel neo-colonialismo), ma avverte che in un mondo cambiato è impensabile ritornare ai “Trente glorieuses” i 30 anni di boom nei quali secondo lui «I valori francesi sono stati contro corrente a quelli dominanti l’economia e la politica mondiali».

Sarkozy preferisce guardare avanti: «Ma chi non vede che la crisi mondiale crea nuove circostanze favorevoli a questa aspirazione francese a mettere l’economia al servizio dell’uomo, e non il contrario. Tutto ci riconduce lì: la crisi economica, la crisi sociale, la crisi ecologica. Nel momento stesso in cui ridiventa evidente per tutti che lo sviluppo economico non può essere sostenibile che se rispetta l’uomo e se rispetta la natura; nel momento stesso che il mondo riscopre i limiti di una logica esclusivamente mercantile; nel momento stesso che si impone a tutti la necessità di regolamentare la globalizzazione ed i mercati; il modello francese ha di nuovo la sua chance. Il modello di crescita del domani non sarà quello dei Trente glorieuses. La rivoluzione ecologica e la rivoluzione informatica stanno trasformando radicalmente i modi di consumo ed i modelli di produzione. Ma avrà delle sorgenti simili. Senza nemmeno rendercene conto, noi responsabili politici di destra e sinistra, abbiamo favorito troppo il capitale finanziario e senza dubbio nello stesso tempo abbiamo ascoltato troppo le lezioni di quest’ultimo. Coloro che si scandalizzano dell’indebitamento pubblico mettevano delle gigantesche leve di indebitamento al servizio della speculazione sfrenata».

Sarkozy ha affrontato anche il tema della green economy ed ha respinto le richieste di rigore ed aumento delle imposte: «Perché la politica di rigore ha sempre fallito», vuole invece puntare sulla formazione professionale dei disoccupati attraverso l’estensione del “contrat de transition professionnelle” e sul Fonds Stratégique d’Investissement per creare nuovo lavoro: «La scelta non è quella del non fare, quel che ci costerebbe meno caro oggi, ci costerebbe infinitamente più caro domani. Voglio dire a coloro che trovano che la Grenelle de l’environnement costerà troppo cara, che è la spesa più redditizia che si possa immaginare. Creerà 600.000 posti di lavoro. Darà alla Francia una spinta considerevole in quello che sarà al centro del nuovo modello della crescita mondiale. Le nostre finanze pubbliche non potrebbero essere utilizzate meglio. E’ un investimento. Per questo mi impegno sul progetto di Grand Paris, sulla metropoli del post-Kyoto, che sarà il laboratorio della Grenelle, che sarà una vetrina mondiale pur il know-how e per le tecnologie francesi. E’ un investimento. Mobiliteremo dei mezzi nuovi nella reindustrializzazione dei bacini di impiego in difficoltà. Io dico che questo è meglio che sovvenzionare le iniziative che condannano i disoccupati all’assistenza».

Poi Sarkozy è passato alla critica del modello fiscale incentrato sula tassazione sul lavoro e le imprese che vede l’Italia prima tra i Paesi Ocse. Se si vuole davvero mettere in campo un nuovo sviluppo basato su gestione del territorio, educazione, formazione professionale ricerca e innovazione occorrono molti soldi che non sono disponibili attualmente nel bilancio francese. «Se noi non cambieremo le nostre pratiche, continueremo a scandire priorità senza poterle realizzare - dice allarmato il presidente - Voglio porre la questione della fiscalità: dobbiamo continuare a tassare la produzione e a tassare il lavoro mentre sappiamo bene che facendo pesare dei carichi fissi troppo pesanti sul lavoro e la produzione distruggiamo il nostro lavoro e le nostre industrie? L’obiettivo è che tutte le nostre fabbriche se ne vadano? L’obiettivo è che che non ci siano più operai nel nostro Paese? Io non mi rassegnerò. Questo sarebbe suicida, significherebbe rovinare il nostrio patrimonio migliore. L’idea di una Francia senza fabbriche e senza operai è un’idea folle. E’ una scelta strategica. E’ a nome di questa scelta strategica che la tassa professionale deve essere soppressa. Questa riforma sarà l’occasione per ripensare la nostra fiscalità locale. E’ con la stessa determinazione che sostengo che dobbiamo andare il più possibile verso la carbon tax. Più tasseremo l’inquinamento più potremo alleggerire i carichi che pesano sul lavoro. E’ un impegno immenso. E’ un impegno ecologico. E’ un impegno per il lavoro».

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