[26/06/2009] Comunicati

L´Italia vuole modificare in peggio i parametri dell´Aia

LIVORNO. Nell’ultimo consiglio ambiente europeo presieduto dal ministro ceco Ladislav Miko (prima di passare il turno al collega svedese) al primo punto dell’ordine del giorno si è discusso della direttiva sulla prevenzione e riduzione integrata dell’inquinamento (Ippc) o meglio sulle modifiche che sarebbe opportuno apportare per poter ottenere l’autorizzazione integrata ambientale (Aia). L´Aia é infatti il provvedimento che autorizza l´esercizio di un impianto o di parte di esso a determinate condizioni, ovvero che vengano garantite le conformità ai requisiti del decreto 59 del febbraio 2005, che recepisce la direttiva comunitaria 96/61/CE, relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell´inquinamento (IPPC). L’accordo dei 27 ministri consentirebbe di riavviare l’iter parlamentare (seconda lettura del testo) e di introdurre quindi alcune modifiche.

Ma nonostante lo scopo della revisione fosse dichiaratamente quello di «contribuire a migliorare l’ambiente per gli abitanti dell’Unione, semplificando e rendendo più accessibile la legislazione per le imprese industriali» come ha dichiarato il ministro Ladislav Miko, quello che si è raggiunto come accordo non sembrerebbe offrire appieno queste garanzie. Con un comunicato a fine riunione il nostro ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo (Nella foto) annuncia infatti che al Consiglio Ambiente di Lussemburgo l’accordo politico è stato raggiunto e che recepisce le istanze portate avanti dal Governo Italiano, di contenere «adeguati elementi di flessibilità ed equilibrio».

Il negoziato a Lussemburgo è stato portato avanti dal Sottosegretario Roberto Menia, in rappresentanza del Ministro dell’ambiente che ha sostenuto la posizione italiana che nasce dall’esigenza di proseguire, senza imporre costi insostenibili alle imprese, nel processo di adeguamento del sistema italiano alla normativa Aia.

La nuova commissione, che si è insediata su nomina del ministro a settembre 2008, ha rilasciato ad oggi 25 Aia e altre 13 sono in corso di approvazione. «Ciò significa – si legge nel comunicato-che oggi si stanno imponendo al sistema produttivo forti investimenti ambientali. Da qui l’esigenza di flessibilità nel fissare nuovi e più restrittivi parametri per il prossimo futuro».

E quali sono questi nuovi parametri? Tra le più importanti proposte italiane accolte nel testo finale- si legge nel comunicato, si trovano una “sufficiente discrezionalità sui contenuti delle autorizzazioni “all’autorità competente, che significa che “si potranno stabilire disposizioni che si discostino dai livelli di emissione basati sull’applicazione delle migliori tecniche disponibili in casi specifici, con riferimento alle condizioni locali e tecnico-economiche dei singoli impianti” in pratica una deroga ai valori limite.

Poi “per quanto riguarda il settore energetico, è stato concesso un periodo transitorio di 5 anni per l’adeguamento dei grandi impianti di combustione ai nuovi valori limite di emissione” mentre “per le raffinerie, è prevista una clausola di revisione con la definizione di una normativa ad hoc che dovrà tener conto delle specificità del loro sistema energetico” e vengono esclusi dall’Aia gli impianti di combustione di piccola taglia (sotto i 50MW).

Infine che “le condizioni delle autorizzazioni potranno essere riesaminate ogni 5 anni”. Tutte condizioni che poco hanno a vedere con un miglioramento delle condizioni ambientali dei cittadini dell’unione e molto invece con gli interessi da parte delle imprese, che quando si tratta di adeguarsi a norme più stringenti sugli impatti ambientali, come minimo chiedono proroghe (già ottenute sino al marzo 2008) se non minori vincoli, o come li chiama il ministro Prestigiacomo «adeguati elementi di flessibilità ed equilibrio».

Insomma come già avvenuto per l’adeguamento agli obiettivi europei per il pacchetto 20-20-20, il nostro governo più che farsi paladino dell’ambiente sembra farsi paladino dell’interesse delle imprese e ancora una volta anziché cogliere l’opportunità degli adempimenti in materia ambientale per migliorare il settore produttivo e renderlo più competitivo nelle performance ecologiche si indulge alle richieste di mantenere lo status quo se non addirittura di arretrare. Un approccio che non fa male solo all’ambiente ma nuoce anche all’economia.

Torna all'archivio